Anche dopo la sua fine il governo postumo guidato da Mario Draghi continua a varare misure occasionali, i famosi «bonus», sulla quale si è scatenata la contesa elettorale. Del resto, le «misure strutturali» evocate in particolare dai sindacati non rientrano nel suo attuale mandato, quello di gestire gli «affari correnti». Dunque, il decreto «aiuti bis» da 14,3 miliardi di euro in discussione con i partiti in campagna elettorale e con le «parti sociali» convocate in una girandola di incontri in corso a palazzo Chigi dovrebbe essere varato in tempi record nella più assoluta continuità con le misure prese negli ultimi 17 mesi. Senza contare i due anni precedenti quando il governo «Conte 2» preferì la via emergenziale dei bonus ai monopattini, o duplicare il «reddito di cittadinanza» con il «reddito di emergenza», invece di varare una riforma del sistema fiscale in senso progressivo o modificare profondamente uno dei Welfare più ingiusti dell’Occidente.

Nel caso di Draghi è prevalsa una forma di «austerità» anticipata, pur in presenza della sospensione del «patto di stabilità e crescita» disposto dalla Commissione Ue. Il suo governo ha rifiutato più volte la via dello «scostamento di bilancio» chiesto da tutte le forze della ex-maggioranza. Nel frattempo è cambiato radicalmente il quadro macro-economico: record inflazione, crescita in calo per la guerra russa in Ucraina e i blocchi delle catene del valore globale, fine delle politiche monetarie espansive da parte delle banche centrali, aumento dei tassi di interesse, presumibili nuove difficoltà a finanziarie il debito pubblico, rischio di bloccare i consumi e avviare spirali recessive.

Per chi la vuole leggere questa situazione è descritta da Draghi e da Franco nella relazione al nuovo decreto in costruzione che è stata illustrata ieri in Consiglio dei ministri. I 14,3 miliardi stanziati sono coperti da un aumento delle entrate superiore al previsto che non saranno usate per migliorare i conti ma per finanziare la pioggia di bonus in arrivo. Ciò, non esclude che, una volta insediato il prossimo governo faccia un altro provvedimento simile, magari addirittura prima della legge di bilancio. L’orientamento può restare lo stesso: in un quadro economico significativamente diverso da quello dell’«era Draghi», che ha fatto implodere il governo dell’ex banchiere centrale europeo, si procede con un distillato di misure ricavate sull’emergenza di turno. Cosa succederà nel caso in cui le condizioni economiche peggioreranno in una recessione, ad esempio? La crisi peggiorerà. La pagheranno di più coloro che oggi ricevono i bonus e non hanno né il reddito, né i salari per ammortizzare l’aumento dei prezzi, così come quello della precarietà.

La redazione consiglia:
La miccia della crisi politica accesa da un sistema economico allo sbando

L’«autunno complesso» di cui ha parlato ieri Draghi potrebbe essere l’anticamera di un ulteriore avvitamento di una crisi che il suo governo non ha visto arrivare e sulla quale è intervenuto con la dispendiosa politica dei bonus. E non, ad esempio, con il discorso moraleggiante sul «debito buono» fatto da Draghi qualche settimana prima della sua intronizzazione a capo del «governo senza formule politiche». Sembrano passati anni-luce da allora.

Davanti al mutamento della congiuntura politico-economica il dibattito tra le forze politiche sul «decreto aiuti bis» sembra lunare. A parte un prolungamento dello sconto benzina e un intervento sulle bollette con la proroga del taglio degli oneri di sistema anche per l’ultimo trimestre del 2022 stanno contemplando un’alternativa: replicare il bonus da 200 euro per 31 milioni di persone, da cui restano esclusi ad esempio 200 mila precari della scuola, oppure la riduzione parziale o totale dell’Iva sui beni di prima necessità come pasta o pane? E non si esclude nemmeno l’intreccio tra queste misure. Nella ex maggioranza che dovrebbe votare il provvedimento ci sono tante posizioni quanti sono gli interessi elettorali da rivendicare sotto l’ombrellone. In entrambi i casi si conferma la cifra conservatrice e regressiva della politica sociale e fiscale dell’epoca Draghi: nel caso dei 200 euro si replicherebbe una pioggerella del deserto, mentre ci sarebbe bisogno di 200 euro al mese in più per tutti; nel caso del taglio dell’Iva ci farebbe un regalo ai redditi alti e altissimi. comunque sufficienti per affrontare l’aumento dei prezzi senza particolari problemi. Si tratterebbe anche di capire se il suddetto taglio rientri, o meno, negli «affari correnti» del governo. Ma all’emergenza mai mettere limiti.

 

Oggi i sindacati a palazzo Chigi

Dopo l’incontro del 12 luglio, a poche ore dall’implosione del «governo dei migliori», oggi Cgil, Cisl e Uil tornano (tra gli altri) a Palazzo Chigi per incontrare Mario Draghi. Sembrano passati anni-luce. Sul tavolo è ormai chiaro quello che Cgil e Uil avevano già detto all’uscita dell’incontro di due settimane fa: tante chiacchiere e nessun impegno concreto sull’«agenda sociale». Allora si parlava addirittura di un «salario minimo» che in realtà era soltanto una modifica estensiva dei «minimi contrattuali». Oggi non ci sarà nulla di tutto questo. Resta il dilemma delle forze politiche della ex maggioranza tra la replica di un bonus poco più che simbolico come quello dei 200 euro per 31 milioni di persone (tranne i precari della scuola) entro i 35 mila euro di reddito o il taglio totale o parziale dell’Iva su pane e pasta e altri beni di prima necessità, un regalo non richiesto ai redditi alti e altissimi. Dunque, nessuna «misura strutturale» chiesta da Cgil e Uil, ma 14 miliardi circa buttati dalla finestra. Il taglio del cuneo fiscale (da realizzare non si sa come)? Nulla. Sembra il giorno della marmotta. Un altro episodio della serie «Elezioni 2022».