Il capo dello Stato e quello del governo, quasi in contemporanea, usano gli stessi toni, oltre il livello dell’allarme rosso. Sergio Mattarella parla da Norcia, in visita per ricordare il terremoto: «Una nuova tragedia si è abbattuta sull’Europa mettendo in pericolo pace e libertà. Gli italiani devono essere e saranno intransigenti, determinati e uniti». Mario Draghi è in parlamento per una prima informativa, seguita da dibattito contingentato. La vera seduta, con il voto sulle risoluzioni, sarà quella di martedì, anche perché ieri non erano ancora note nei dettagli le sanzioni decise dall’Europa. Il premier ripete che il dialogo oggi è «nei fatti impossibile». Insiste sul «ritiro delle truppe» come condizione per riprendere i negoziati. Conferma l’assoluto accordo dell’Italia su sanzioni molto dure. Ma va anche oltre, sceglie parole omogenee a quella adoperate da Mattarella. Parla di una crisi «di portata storica», di «terribili minacce», di una situazione che potrebbe essere «lunga e difficile». Confessa di avere le sensazione di un’offensiva russa «appena all’inizio».

L’ASSONANZA TRA le parole del capo dello Stato e quelle del presidente del consiglio non è casuale. I due hanno discusso e concordato discorsi tali da chiarire a tutte le capitali che l’Italia non minimizza affatto la crisi: al contrario la ritiene di proporzioni enormi, tanto da rimettere in discussione gli equilibri non solo dei decenni dopo la caduta del Muro ma dell’intera fase dal dopoguerra in poi, come dice apertamente Draghi in aula. Perché neppure negli anni della guerra fredda il confronto si era giocato mettendo sul tavolo il peso della propria forza militare, come sta facendo ora Putin. La preoccupazione non è dunque mimata. La paura che Putin non intenda fermarsi ai confini dell’Ucraina è reale. Ma i toni estremi servono anche a inviare messaggi rassicuranti all’Europa dove l’Italia, nonostante la presa di posizione netta, è sul banco degli accusati per eccessiva morbidezza.

L’EX PRESIDENTE del Consiglio europeo Donald Tusk va giù duro e dice che se le sanzioni non sono abbastanza incisive la colpa è della Germania e appunto dell’Italia. I paesi del nord prendono di mira Draghi per aver chiesto di escludere alcune voci, in particolare energia e beni di lusso, dalle sanzioni e per aver avanzato dubbi, come molti altri Paesi, sull’opportunità di escludere la Russia dal sistema di pagamento internazionale Swift. In serata palazzo Chigi deve specificare: «Nessuna richiesta italiana di eccezione sulle sanzioni. Siamo allineati».

NELLA GIORNATA NO di Draghi ci si mette anche il presidente ucraino Zelensky. L’italiano, visibilmente commosso, racconta al parlamento di non essere riuscito a parlare con Zelensky in un appuntamento telefonico del mattino. L’ucraino, sotto le bombe e comprensibilmente provato, fraintende e twitta: «La prossima volta rinvierò l’agenda bellica per parlare con Draghi». In serata, dopo che un consiglio dei ministri lampo aveva approvato un decreto che stanzia fondi per la crisi ucraina, inclusi 12 milioni per «equipaggiamenti non letali», e mette a disposizione della Nato altri 2mila militari, Draghi si presenta al vertice Nato e anche qui cerca di dissipare ogni dubbio: «Siamo pronti a fare la nostra parte per mettere a disposizione le forze necessarie. La reazione deve essere determinata per evitare qualsiasi ambiguità».

LA SANZIONI AVRANNO un prezzo salato anche per i sanzionatori e per l’Italia in particolare. Il premier non lo nasconde, dedica al tema dolente dell’energia buona parte del suo intervento. Bisognerà aumentare le capacità di stoccaggio, approntare rigassificatori per il gas liquido messo a disposizione, non certo gratis, dagli Usa, accelerare sulle rinnovabili eliminando con un taglio netto gli ostacoli burocratici che rallentano tutto, aumentare la produzione di gas italiano, preparare per ogni evenienza piani per affrontare una vera e drammatica crisi energetica. Ma anche, se necessario, riattivare momentaneamente le 7 centrali a carbone. Ipotesi, quest’ultima, che solo a ventilarla si attira gli strali delle associazioni ambientaliste: «Non è una soluzione. La sola alternativa sono le rinnovabili».

LA PARTITA delle sanzioni, non solo in Italia, si gioca anche sul fronte della crisi economica. La ricaduta sull’economia sarà pesante, abbasserà il Pil, porterà all’aumento dell’inflazione e del debito. Il commissario europeo Paolo Gentiloni ha detto ieri che la commissione deciderà sulla proroga della sospensione del patto di stabilità solo alla fine dell’anno ma in realtà ci sono pochi dubbi sul prolungamento. Anche così, però, la situazione resterà molto difficile e il rischio è lì. Perché le sanzioni possono ottenere effetti solo sui tempi medio-lunghi e a fronte di una Europa molto compatta. Nulla minaccerebbe quella compattezza più che un’esplosione di tensioni sociali derivate dalla crisi.