Per la storica e sociologa Dora Barrancos, oggi i movimenti femministi ricoprono un ruolo centrale nell’opposizione al governo di estrema destra del presidente argentino Javier Milei.

Contro le politiche sociali ed economiche del nuovo esecutivo, le femministe, le donne, le attiviste devono reagire «con creatività e strategia», spiega. «Ci troviamo in un momento drammatico, siamo in una palude. La nostra risposta è nella resistenza per non retrocedere sui nostri diritti».

Dal suo insediamento nello scorso dicembre, Milei ha adottato politiche contro l’uguaglianza di genere. Il presidente ha eliminato il ministero delle Donne, dei Generi e della Diversità, diventato un sottosegretariato alle dipendenze del ministero del Capitale Umano. Il suo partito La Libertad Avanza ha presentato un disegno di legge per criminalizzare l’aborto, ottenuto in Argentina nel dicembre 2020 grazie alla mobilitazione nazionale dei movimenti femministi.

Milei ha affermato di essere contrario all’educazione sessuale nelle scuole e ha dichiarato che sarà vietato il linguaggio inclusivo nella pubblica amministrazione. «Oggi l’assedio è ovunque. Bisogna prendere coscienza di questa situazione e approfondire l’analisi», commenta Barrancos.

Femminista, educatrice e ricercatrice argentina, Dora Barrancos è professoressa presso l’Università di Buenos Aires. È stata la direttrice dell’Istituto Interdisciplinare di Studi di Genere (IIEGE) presso la Facoltà di Lettere e Filosofia (UBA) ed è ricercatrice presso il Conicet.

Nel suo I femminismi in America Latina – reso possibile dal Colegio de México e appena ripubblicato in Argentina dalla casa editrice Prometeo – Barrancos ripercorre in quasi 300 pagine i grandi eventi del femminismo del Novecento nei diversi Paesi della regione latinoamericana.

Il saggio arriva fino alle recenti mobilitazioni di massa, come la nascita e l’ascesa del movimento Ni Una Menos e la marea verde della Campagna nazionale per il diritto all’aborto. «La storia dei femminismi è la storia della rivendicazione dei diritti», sottolinea.

Nel saggio «I femminismi in America Latina» ripercorre i movimenti femministi del XX secolo. Come ha lavorato a questo notevole esercizio di ricerca e sintesi?

La ricerca è durata molti anni: ha unito la mia professione di storica e sociologa alla mia militanza. Ha implicato un accurato lavoro sulle fonti perché ho ricostruito i movimenti femministi in tutti i Paesi latinoamericani. Non mi sono soffermata solo sulle teorie e sugli eventi, come vorrebbe il metodo storiografico: ho invece riscattato i nomi delle donne per toglierle dalla penombra in cui erano state relegate. Ho voluto fare nomi e cognomi, mostrando le loro identità.

Penso che questo sia indispensabile. Mi sono soffermata in particolare su alcuni Paesi. L’Argentina con il movimento Ni Una Menos e la Campagna nazionale per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito. Il Cile e le mobilitazioni studentesche femministe del 2018, nate anche a seguito delle denunce delle molestie avvenute nelle università cilene. La Colombia, dove le donne sono state fondamentali per il processo di pace. Nell’ultima edizione del saggio, ho inserito la resistenza delle donne polleras in Bolivia e il movimento “EleNão” in Brasile.

L’indagine ha avuto effetti sulla mia persona; ciò è comune a chi indaga perché, quando si fa ricerca, anche il soggetto che la compie viene trasformato. Allora è successo anche a me. Questo saggio mi ha ricordato la frase di un mio amato professore brasiliano: “La conoscenza passa dal sapere al non sapere”. Non il contrario perché il principio epistemologico non smette di aprirsi.

Ci sono differenze rispetto ai femminismi europei?

Questo dipende dai singoli Paesi che prendiamo in considerazione. Allargando lo sguardo, credo che una caratteristica specifica dei femminismi latinoamericani sia avere elaborato pensieri e pratiche vicine alle soggettività subalterne e alle dissidenze sessuali. Inoltre è meno forte la componente liberale.

Il governo del presidente Javier Milei ha annunciato che il linguaggio inclusivo sarà vietato nella pubblica amministrazione. Questa decisione è solo l’ultima di una serie di considerazioni riguardanti le politiche femministe che sono state espresse dall’esecutivo. Come si pone il governo di estrema destra nei confronti delle prospettive di genere?

Milei sta collocando il suo credo politico in un ossimoro: non è la libertà che avanza, è la libertà che indietreggia. Ci troviamo di fronte a una delle contraddizioni che caratterizzano questo progetto politico di estrema destra: il governo nazionale pensa di esprimere una posizione liberale ma, in realtà, non lo sta facendo. È un falso liberale ed è una destra che manca completamente di conoscenza, è ignorante.

Impedire il linguaggio inclusivo significa retrocedere in materia di libertà e diritti fondamentali. Da un punto di vista ideologico, quello che accomuna la destra di Milei alle destre mondiali è proprio l’impegno programmatico contro le donne e i femminismi. Le destre attaccano sempre il femminismo e la diversità sessuale perché il femminismo ha sempre messo in discussione le norme, cioè le costruzioni ideologiche del biologico.

Sebbene ci siano femministe “essenzialiste”, la portata principale dell’epistemologia femminista è contraria a quello che è naturale e all’idea che la struttura biologica sia un destino. Una delle prime ad averne parlato è stata Simone de Beauvoir quando ha affermato che “donne non si nasce, ma si diventa”. Per la destra e l’estrema destra, sia nelle loro componenti laiche sia religiose, è inaccettabile che ci siano più di due generi perché si collocano sull’idea del binarismo assoluto.

A febbraio Rocío Bonacci, deputata del partito La Libertad Avanza, ha presentato un disegno di legge per criminalizzare l’aborto. Che cosa ne pensa?

In questo momento non credo che il governo osi andare contro la legge sull’aborto perché ha così tanti problemi aperti che non avrebbe possibilità di vincere. Non a caso questo disegno di legge non ha avuto seguito.

Tuttavia ci sono politici più esperti pronti a elaborare un nuovo testo. Se succederà, in milioni scenderemo in piazza. Visto che sarebbe difficile ottenere i voti necessari in Congresso, come Campagna nazionale per il diritto all’aborto pensiamo che sia più facile per loro tagliare i fondi sui farmaci necessari per l’aborto, medicinali distribuiti gratuitamente negli ospedali pubblici e in altre istituzioni sanitarie. Ci sono giurisdizioni in cui ciò non accadrà, come la provincia di Buenos Aires, perché il governatore è impegnato nella tutela di questo diritto. E per fortuna anche la città di Rosario, dove si produce il misoprostolo, è in prima linea nella difesa dell’aborto.

L’Argentina sta vivendo una grave crisi economica. L’inflazione ha raggiunto il 211,4% nel 2023. Il 57% della popolazione è in condizioni di povertà, secondo le stime dell’Osservatorio sociale dell’Università cattolica. È possibile realizzare una lettura femminista della crisi economica?

Assolutamente sì. Le crisi hanno un notevole impatto sulle donne. Nelle fasi di instabilità economica, sono le prime a perdere il lavoro perché sono spesso precarie o sono lavoratrici domestiche. Il divario salariale colpisce maggiormente le donne povere e meno qualificate rispetto a quelle altamente qualificate. Abbiamo visto che cosa è successo negli anni Novanta. Le donne che non sono nel mercato del lavoro, di fronte a questa crisi, escono ad ogni costo per procurarsi soldi. L’impoverimento è tragico perché se gli uomini perdono il lavoro avviene una trasfigurazione della loro soggettività e questo porta a molti disordini nella vita relazionale. Senza politiche statali di contenimento, ci saranno molte più sofferenze familiari, violenze e tensioni.

Come stanno reagendo i movimenti femministi?

Non stanno rimanendo in silenzio. Dobbiamo resistere e scendere in piazza in ogni momento possibile. L’8 marzo, Giornata internazionale dei diritti delle donne, segnerà una differenza. Sarà una giornata fondamentale e creativa. Noi che ci occupiamo di ogni tipo di violenza di genere nelle istituzioni e nel Congresso nazionale, con alcune deputate di diversi partiti politici abbiamo duramente criticato il presidente.

L’Argentina si trova in un momento estremamente critico. È a un crocevia perché ha una linea di successione al governo molto complessa. Per fare un nome, la vicepresidente Victoria Villarroel è una politica negazionista con legami importanti con gli ex dittatori dell’Argentina. E in questa resistenza, i movimenti femministi sono fondamentali. A quello che sta succedendo, rispondono con studio, cultura e creatività.