Tra iftar offerti alle opposizioni e grazie presidenziali, l’aprile di Abdel Fattah al-Sisi pare brillare per generosità. Se il presidente la mostra al partner russo, con cui procede spedito negli affari incurante delle sanzioni, in casa quell’apertura assume contorni diversi.

A PARTIRE dalla liberazione, rende noto il ministero degli interni, di 3.273 prigionieri dalle carceri egiziane, un classico di fine Ramadan, dei 120mila stimati, di cui almeno la metà prigionieri politici. Che sono la vera novità: stavolta almeno 41 detenuti per ragioni politiche sono stati rilasciati su richiesta di al-Sisi, come annunciato la scorsa settimana.

Tutti in cella in detenzione cautelare. E se nei giorni scorsi erano stati resi noti alcuni nomi (il giornalista Mohamed Salah, il ricercatore Abdo Fayed, il membro del partito Dostor, Hassan al-Barabari, il sindacalista Haitham al-Banna e gli attivista Walid Shawky e Rawda Mohamed), un’altra identità è stata svelata giovedì: il giornalista e attivista Hossam Moniss, condannato a quattro anni per diffusione di notizie false lo scorso novembre e oggetto delle richieste di diverse forze dell’opposizione, che martedì si sono viste invitare al palazzo presidenziale per un iftar – la cena che rompe il digiuno di Ramadan – con il presidente.

MONISS AVEVA  partecipato alle parlamentari del 2020 nella cosiddetta Coalizione della Speranza: giovedì, con i piedi sull’asfalto fuori dal famigerato carcere di Tora ad accoglierlo ha trovato Hamdeen Sabahi, leader del partito Karama, e il regista Khaled Youssef.

Era stato arrestato nel giugno 2019 in una retata all’alba contro attivisti e giornalisti. Tra loro l’ex deputato e avvocato Ziad el-Elaimi, tra i volti di piazza Tahrir e tuttora in carcere, il giornalista Hashem Fouad e il blogger Mohamed “Oxygen” Ibrahim. Tutti parte di Hope, coalizione elettorale di partiti e politici di sinistra e nasseriani, legati a piazza Tahrir ma accusata dal governo di affiliazione con la Fratellanza Musulmana.

Il nome di Moniss era uscito durante la cena organizzata da al-Sisi per lanciare un – per ora fumoso – «dialogo nazionale». Tra le condizioni poste dalle opposizioni invitate (tra cui il nasseriano Hamdeen Sabbahi, il giornalista ed ex detenuto Khaled Dawoud, il leader di Karama, Kamal Abu Eita) c’erano proprio la liberazione di alcuni prigionieri politici e la fine dell’uso della detenzione come modo di (non) affrontare il dissenso interno.

QUALCOSA è uscito: Abu Eita sarà tra i membri del Comitato per l’amnistia, chiamato a redigere una lista di prigionieri politici da liberare (ci sarebbero anche Alaa Abdel Fattah, Oxygen e el-Elaimi). Per alcuni però, c’è poco da festeggiare: il «dialogo nazionale», dicono, altro non è che un modo per ripulire la faccia del regime e far dimenticare la crisi economica interna.

Il resto, la stragrande maggioranza, dei 3mila graziati sono prigionieri comuni. Si ripete così la tradizione della grazia presidenziale in occasione del mese sacro. Una tradizione omaggiata anche il 25 gennaio, per la festa delle forze armate, non certo per l’anniversario della rivoluzione del 2011.

E vengono fuori notizie argutamente nascoste: secondo documenti secretati consegnati al sito Arabi21, lo scorso 25 gennaio al-Sisi ha concesso la grazia ad almeno 13 poliziotti, condannati per tre casi di torture e uccisioni di detenuti egiziani.

IL PRIMO CASO risale al novembre 2016, le torture mortali inflitte a Magdy Makeen, venditore di pesce di 53 anni, morto nella stazione di polizia di al-Amireyah al Cairo. Quattro anni dopo dieci poliziotti erano stati condannati sia per il suo omicidio che per il tentativo di insabbiare l’inchiesta. Cinque di loro (Sameh Qassem, Yasir al-Hassanein, Saad Khalil, Mohammed Ali e Aymen al-Deeb) sono stati perdonati da al-Sisi.

Per il secondo, avvenuto nel 2018, sono stati graziati altri cinque poliziotti della stazione di polizia di Hadaeq el Qobba, di nuovo nella capitale, tra cui il capo Saber Farraj, condannato a otto anni per le torture e la morte di Ahmed Ajami, arrestato senza mandato, picchiato con un bastone e torturato con l’elettricità. Sono tre gli agenti liberati a gennaio, invece, per le torture e l’omicidio di Mohammed Saleh Ahmed, a Sohag, nel 2016.