Sabato notte di venti forti e piogge torrenziali, le strade indiane lungo il confine con la Birmania si riempiono di fango, pietre e rami. Annunciano l’arrivo domenica del ciclone Mocha, che risparmia l’India abbattendosi sul Myanmar e sul Bangladesh sud-orientale. Per gli esperti è il maggiore ad aver colpito il Golfo del Bengala in oltre un decennio: categoria 5 (la più alta), con venti fino a 195 Km/h.

UN COMUNICATO DELLA GIUNTA militare salita al potere in Birmania 15 mesi fa parla di almeno cinque morti e «alcuni» feriti, senza fornire ulteriori dettagli, aggiungendo però che oltre 860 abitazioni e 14 ospedali o cliniche hanno subito danni in tutto il Paese. Il Pacific Disaster Center (PDC), il Programma alimentare mondiale dell’Onu (WFP) e l’Ufficio delle Nazioni unite per gli Affari umanitari (OCHA) stimano che 2,2 milioni di persone vivono nelle aree del Myanmar interessate dal ciclone Mocha, di cui 1,3 milioni in quelle più colpite, con costi per la ricostruzione pari a 6,3 miliardi di dollari.

LE ZONE IN QUESTIONE sono quelle della città portuale di Sittwe, di Buthidaung e Maungtaw (nello Stato del Rakhine), di Mindat (in quello del Chin) e di Pakokku (Maqway). Proprio Sittwe (150mila abitanti), dove il ciclone è approdato sulla terraferma dal mare, avrebbe subito i danni maggiori. Per France Presse il vento ha abbattuto alberi e tralicci elettrici. All’agenzia di stampa francese, il soccorritore locale Ko Lin Lin ha parlato di 25 feriti e anche in questo caso 5 vittime. Mentre alla Bbc gli abitanti hanno dichiarato che è stato distrutto il 90% della città. Tanto che la giunta militare ha dichiarato lo Stato d’emergenza nell’intero Rakhine.

RIGUARDO ALLO STATO CHIN, fonti birmane raccolte qui a Sangau parlano di 80 case spazzate via nella zona di Zotung (a Matupi) e circa 40 abitazioni a Thantlang, città già pesantemente distrutta dai bombardamenti della giunta militare e dove i combattimenti sono tuttora in corso. Danni anche a Hakha, mentre dalle 13 di domenica si sono interrotte tutte le comunicazioni a Mindat, Paletwa, Kanpetlet.

Vista la traiettoria del ciclone ricostruita dagli esperti che seguivano Mocha, fin dalla giornata di venerdì era scattato l’allarme anche nella città di Cox’s Bazar (in Bangladesh), dove nei campi profughi di Ukhia e Teknaf Upazilas vivono circa 960.000 rifugiati della minoranza musulmana dei Rohingya. Gente scappata dal Myanmar nel 2017, a causa delle violenze subite (la Corte Internazionale di Giustizia indaga su quei fatti per genocidio).

FORTUNATAMENTE è andata meglio del previsto e non si contano vittime, ma «nel più grande insediamento di rifugiati del mondo, composto da 33 campi, i danni sono significativi», testimonia a il manifesto da Cox’s Bazar Natalia Fais, coordinatrice del programma di protezione del Danish Refugee Council (DRC), organizzazione umanitaria non governativa attiva in 40 nazioni del mondo. «Oltre 21mila persone sono state colpite, con più di 4.000 rifugi che devono essere riparati o ricostruiti, assieme ad altre 67 strutture», riporta ancora la Fais.

DUE GIORNI PRIMA dell’arrivo di Mocha, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) aveva ipotizzato l’evacuazione dei campi, ipotesi difficilmente realizzabile anche perché i rifugiati Rohingya non possono uscire senza il permesso delle autorità del Bangladesh. «Le forze dell’ordine sono in allerta in modo che i Rohingya non possano attraversare il recinto di filo spinato per approfittare del disastro», aveva chiarito già sabato il ministro dell’Interno, Asaduzzaman Khan Kamal.