Donne in carcere, un 14 maggio fuori dalla retorica
Fuoriluogo La rubrica settimanale anti proibizionista. A cura di autori vari
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«Sono colpevole di reati… ma io i miei bambini li ho sempre curati, mandati a scuola, tenuti bene… Non ci reputano capaci di occuparci dei nostri figli solo perché abbiamo agito fuori dalla legge. Vogliono toglierci i figli che sono l’unica speranza per un futuro diverso». Sono le parole di due detenute, una nel carcere di Pisa, l’altra del carcere di Lecce (dal volume “La prigione delle donne”, Ediesse, 2020): le più incisive per comunicare il senso della campagna Madri Fuori, dallo stigma e dal carcere, coi loro bambini e bambine. Se ne discuterà oggi, in un webinar aperto, nel corso dell’assemblea annuale della Società della Ragione.
Ricostruiamo il contesto da cui è partito l’attacco alle donne madri in prigione e la risposta conseguente. Le elezioni anticipate hanno impedite l’approvazione della proposta di legge Siani che allargava la possibilità di misure alternative per le madri in carcere coi loro bambini, istituendo case- famiglia protette. Poche settimane fa la Camera dei deputati ha ripreso l’esame di quella proposta (a firma in questa legislatura di Debora Serracchiani), ma inaspettatamente Fratelli d’Italia e Lega hanno presentato emendamenti peggiorativi della legge in vigore. Perciò, Serracchiani ha scelto di ritirare la sua proposta. Invece di dare un contributo a come lasciare definitivamente alle spalle lo scandalo dei bambini che crescono in carcere insieme alle madri, nonostante siano condannate perlopiù per reati minori, il sottosegretario Cirielli ha rilanciato la sua iniziativa legislativa (della precedente legislatura) per togliere la responsabilità genitoriale alle donne condannate in via definitiva. Sarebbero «madri indegne», «madri degeneri», questa la motivazione. Che intanto rimangano in carcere, insieme ai loro figli.
La risposta al rilancio ideologico della «cattiva madre» – sulla base dell’idea della donna che ha commesso reato “doppiamente colpevole” perché col reato ha tradito la «missione di madre» – è stata immediata.
E si è concretizzata nell’appello Madri Fuori. Si legge nell’appello: «L’aggressione ai diritti delle madri detenute è rivolta a tutte le donne; a sua volta è la punta di diamante contro l’idea di pena finalizzata al reinserimento sociale (secondo Costituzione); in ultimo è un attacco a un’idea di società inclusiva, tollerante, rispettosa e accogliente delle differenze».
L’appello lancia una iniziativa fortemente simbolica, a sostegno delle donne detenute e dei loro figli, contro lo stigma della «doppia colpa»: dedicare a loro la tradizionale Festa della Mamma (14 maggio), perché, fuori dalla retorica, sia un giorno dedicato alla libertà femminile, alla responsabilità di tutti e tutte, alla solidarietà sociale. Parlamentari, consigliere e consiglieri regionali, garanti delle persone private della libertà, volontarie e volontari del carcere, sono invitati a visitare le donne detenute in occasione della Festa della Mamma, a discutere con loro della «doppia» e ingiusta pena, a dare concreta testimonianza del rifiuto dello stigma che le colpisce.
Oggi, nel webinar citato, si farà un primo bilancio delle adesioni all’appello: particolarmente importante quella della Conferenza Nazionale del Volontariato, ma anche delle reti di volontariato locali, come le reti di Milano, Brescia, Venezia e Firenze promotrici di «servizi alla genitorialità», per aiutare detenuti e detenute a mantenere rapporti con i figli). E si creerà una rete per coordinare le iniziative preparatorie della giornata della Mamma nelle carceri (vedi a Torino il 13 maggio e a Milano il 15 maggio).
Torniamo alla denuncia delle detenute. Facciamo sì che la loro voce trapassi le mura del carcere, con l’impegno di tutte e di tutti.
Per il programma e il link al webinar di mercoledì 26 aprile, ore 17: societadellaragione.it/assemblea2023
Per firmare l’appello: societadellaragione.it/madrifuori
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