Donne al potere: e poi?
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Donne al potere: e poi?

Femminismi Una lettura anarcafemminismo del nostro presente
Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 12 ottobre 2024

Da tempo si sente spesso dire: «Ce l’abbiamo fatta! Le donne finalmente al potere». Persino compagn* che io reputavo femminist* mi hanno fatto osservare: «Ma dai! Grazie a Meloni abbiamo rotto il ceiling effect! Dopo di lei altre donne ce la faranno».

Ce la faranno a fare cosa? L’elezione di Giorgia Meloni, mi sembra, non ha fatto altro che rafforzare ciò che ho altrove chiamato «uomocrazia», ed è avvenuta proprio in un momento storico in cui il patriarcato è messo in discussione. Si tratta di un movimento letteralmente re-azionario. Se «patriarcato» si riferisce al governo (arche) del patriarca, possiamo senza dubbio affermare che, in senso stretto, esso sia stato messo in discussione in quei contesti dove gli uomini non sono più i soli bread-winner. Questo non ha, tuttavia, minimamente intaccato la uomocrazia, ossia il potere (cratos) dell’uomo, sia come genere che come specie, che sopravvive e può addirittura fiorire anche laddove il patriarcato appare in declino. Proprio perché non ci sono più i patriarchi, diventa sempre più difficile, quindi, smascherare l’uomocrazia, ossia il modo in cui dominio dell’uomo sulla natura, di un uomo sopra l’altr* e dell’uomo-cis su tutti gli altri sessi si rafforzano l’uno l’altro.

In questo senso la vicenda di Meloni premier è sintomatica di un passaggio cruciale della nostra epoca in cui il sistema patriarcale vacilla ma, paradossalmente, il privilegio maschile continua a proliferare: «uomo», come diceva Simone de Beauvoir, continua a essere sia un genere specifico, ma anche il nome dell’umanità in generale. Con un’espressione mutuata dalla filosofa francese, possiamo quindi affermare che viviamo in un’uomocrazia perché, rispetto al maschio eterosessuale, le donne, sia cis- che trans, non meno che le persone LGBTQIA+, non binarie e dai generi molteplici, sono ancora tutt* «secondi sessi».

Il fatto che Giorgia Meloni sia femminile, che sbandieri sui social media il suo lato di mamma, non è affatto una contraddizione. Si può essere femmine senza essere femministe, come servirebbero sempre più uomini femministi per avere qualche speranza di abolire il sessismo.

Sciorinare la leggenda del premier donna, alimentando la mitologia dell’ape regina al governo, non fa quindi altro che rafforzare l’illusione per la quale tutto è già cambiato, e assicurarsi così, al contrario, che nulla cambi. Che l’elezione di Meloni sia avvenuta, infatti, proprio nel momento in cui l’Italia si era incamminata sulla strada di alcuni cambiamenti epocali sulle questioni di genere non è certo un caso: tanto più è visibile il suo essere donna, tanto meno rifletteremo sul fatto che sia «l’unica donna» e che stia perpetrando una politica del dominio particolarmente rapace. Non si può non notare infine che, in un’epoca in cui la fluidità di genere e degli orientamenti sessuali è sempre più visibile, il binarismo di genere di un femminile «del Presidente» e quel maschile uomocratico e quasi caricaturale che questo governo rappresenta funzionano benissimo anche per placare tante ansie omofobiche e transfobiche. La Famiglia naturale è protetta e, con essa, pure Dio e la Patria.

Femminismo, però, non vuol dire aggiungere una qualche fortunata donna-cis al club degli oppressori, ossia sventolare illusioni donniste, per nascondere che la stragrande maggioranza dei secondi sessi continua invece a essere esclusa e sfruttata. Femminismo è la fine dell’oppressione di genere, ma non sarà possibile se si trascurano tutte le altre fonti di dominio e autoritarismo, lasciando intatta la matrice della discriminazione di genere e rafforzando quella «politica del dominio» di cui parlano le femministe intersezionali. Audre Lorde e bell hooks insistono su come sessismo, razzismo e classismo si rinforzano a vicenda perché instillano l’idea che certe persone siano superiori ad altre ed abbiano per questo diritto a dominarle. Se non si può eliminare l’oppressione di genere senza smantellare anche sfruttamento economico, la transfobia, e l’eterosessimo, è perché la vita è talmente interconnessa che non si può essere libere se non in una società in cui tutt* lo sono.

Questo è ciò che l’anarcafemminismo sostiene: la dominazione è un gomitolo fatto di tanti fili ed è importante concentrarsi di volta in volta su ciascuna causa nella sua urgenza, ma non si deve dimenticare che tutti i fili si richiamo e si tengono l’un altro. Come diceva Emma Goldman, l’anarchismo è l’insegnante dell’unità della vita. Per questo non si possono liberare le donne senza liberare anche gli uomini, tutt* i secondi sessi e, persino, ogni creatura vivente tanto dallo sfruttamento capitalista quanto dalla politica uomocentrica della dominazione. Tutt*, o nessun* sara’ liber*

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