L’esistenza di Danny Ryan è arrivata a un punto di svolta. L’ex operaio portuale di Providence, nel Rhode Island, cresciuto tra le fila della mafia irlandese, è giunto alle soglie di Wall Street. Niente più regolamenti di conti nelle strade piovose delle cittadine del New England, niente più guerre tra gang criminali e fughe dalla polizia, Danny si è trasformato in un imprenditore del gioco d’azzardo, potente e legato ai potenti, nella città che ha fatto di tutto ciò una vera e propria industria, Las Vegas. Ma proprio quando è sul punto di tirare le somme di una traiettoria che l’ha portato ai vertici di un piccolo impero, prima del crimine e poi del denaro, ecco che come accade ad un eroe delle tragedie classiche, il suo passato torna a tormentarlo mettendolo di fronte a scelte decisive, dalle quali non potrà più esimersi.

Con Città in rovine (traduzione di Alfredo Colitto, HarperCollins, pp. 458, euro 22), Don Winslow, una delle figure più significative del noir statunitense degli ultimi decenni, porta a compimento il progetto di una trilogia iniziata trent’anni fa e che comprende anche Città in fiamme e Città dei sogni (entrambi per HarperCollins). Allo stesso modo, chiuso questo capitolo della sua lunga vita di scrittore, Winslow annuncia che d’ora in poi userà le sue doti di narratore soprattutto per combattere un possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.

Dopo essere stato tra gli ospiti del Salone del Libro, che si chiude lunedì 13 maggio a Torino, Winslow sarà il 12 maggio pomeriggio a Brescia, all’ Auditorium San Barnaba, per il Festival Librixia con Marcello Fois e domani mattina all’Università Iulm di Milano con, tra gli altri, Gianni Canova e Massimo Rota.

«Città in rovine» si apre con l’immagine di un vecchio casinò di Las Vegas che viene demolito con l’esplosivo sotto gli occhi di Danny Ryan. Un’«implosione» che al protagonista della trilogia sembra ricordare il proprio destino, perché?

Danny cerca di sfuggire al proprio passato, alle proprie responsabilità, a qualunque costo, ma si tratta di cose talmente radicate dentro di lui che non può esserci alcuna via di fuga. E nel suo cuore ne è consapevole. Perciò, quando vede l’edificio crollare su se stesso, scorge una sorta di legame personale con quanto ha davanti: gli sembra quasi un simbolo del decadimento morale che sente essere per lui pressoché irrimediabile: un’implosione, per l’appunto, ma azionata da una miccia lunga e lenta.

In questo romanzo, come nei due precedenti, Danny sembra spesso trovarsi di fronte a scelte che ne mettono in vario modo alla prova la lealtà, verrebbe da dire prima di tutto verso se stesso e la propria storia. Cosa rappresenta, e quanto pesa questo elemento nella personalità del personaggio?

Direi che è essenziale. La lealtà è la tragica debolezza di Danny. Penso che spesso le nostre qualità migliori possano essere contemporaneamente i nostri maggiori punti deboli. Almeno, questo è certamente vero per Danny. La lealtà lo rende quello che è, e si tratta di una delle cose che ammiriamo di più in lui. Ma, d’altra parte, tutto ciò lo consuma. Perché la stessa lealtà che può provare per un amico, la dimostra nei confronti della propria famiglia criminale, il ché lo porta a prendere decisioni sfortunate, a volte tragiche, che non a caso lo perseguiteranno per tutta la vita.

Una saga poliziesca che si ispira ai sentimenti, e almeno in parte alle figure dei classici greci e romani: come ha sviluppato l’idea di questa trilogia e come ha definito i personaggi e le loro emozioni, intrecciando quel passato e il presente in cui si svolgono le vicende narrate nei romanzi?

Dalla sua domanda intanto si può capire perché mi ci sono voluti trent’anni per scrivere questa trilogia. Tutto è iniziato quando ho letto l’Eneide per la prima volta: mi ha ricordato non soltanto i romanzi polizieschi, ma anche la vera storia del crimine. Così mi sono chiesto se sarei stato capace di scrivere una saga contemporanea nello stile del noir ma che seguisse in qualche modo i personaggi, le vicende e i temi dei classici, a partire proprio dalle opere di Omero e Virgilio. Ho scelto di incentrare il mio racconto sul personaggio di Enea che dopo la guerra di Troia è stato costretto a vagare per il Mediterraneo prima di essere in grado di costruire a sua volta un impero. Detto questo, la vera sfida era trovare eventi moderni che fossero analoghi a quelli descritti nei classici. Mi ci sono voluti anni per capire quali piste seguire e scegliere un percorso ben preciso.

Da portuale di Providence con pochi dollari in tasca, a magnate del gioco d’azzardo di Las Vegas: la traiettoria del «suo» Enea, Danny Ryan, assomiglia ad una versione criminale del sogno americano. È d’accordo?

Assolutamente. Ancora una volta, nel voler trarre ispirazione dalle storie narrate dai classici, ero consapevole sia dei loro paralleli con il poliziesco che di quelli, forse meno evidenti, con la situazione della società americana. I personaggi dei classici greci e latini si reinventano costantemente, un tema ricorrente nella vita degli Stati uniti e nelle biografie di molti americani. Nello specifico, Enea – e quindi il mio Danny – viaggia verso occidente alla ricerca di una nuova vita e per edificare un impero: per molti versi la medesima storia dell’America. E, malgrado si tratti di un criminale, è evidente che la traiettoria «dalle stelle alle stalle» di Danny evoca proprio l’idea dell’american dream.

A partire dalla figura dell’agente della Dea Art Keller, nella precedente trilogia che è al centro della sua opera – composta dai romanzi «Il potere del cane», «Il Cartello» e «Il Confine» -, lei riflette sugli errori, gli abusi e le tragedie, che hanno accompagnato la War On Drugs combattuta dagli Usa lungo il confine meridionale del Paese come in Messico. Fino a che punto il noir può indagare la società e agire come strumento di critica del potere?

Spero proprio possa svolgere almeno in parte entrambi questi ruoli. Credo che un romanzo, talvolta più e meglio di quanto riesce a fare il giornalismo, vada oltre un titolo ad effetto, per indagare pensieri e sentimenti dei personaggi, per scavare nelle loro anime. Quindi, se riesco a convincere il lettore a trascorrere molto tempo, ad esempio con un immigrato di dieci anni o una giovane donna con una dipendenza da eroina, quel lettore guarderà a questi temi in modo diverso, proverà empatia per quelle figure.

Al contrario, spesso, i titoli dei media tendono a trasformarsi in stereotipi che finiscono per imporsi. Al contrario, la narrativa può andare oltre quegli stereotipi per mostrare una realtà più specifica, concreta. È così che un romanzo si può trasformare in uno strumento di critica verso le politiche governative o di questo o quel sistema di potere. In fondo, il primo passo è sempre ritrovare la nostra umanità verso ciò che ci circonda. Non è vero?

Prima dell’uscita di «Città in rovine» ha annunciato che questo sarebbe stato il suo ultimo libro e che d’ora si dedicherà ad altro. Perché questa decisione e perché proprio ora?

La nostra democrazia è minacciata da un movimento neofascista guidato da un traditore, un razzista, un aspirante dittatore: Donald Trump. Nei trent’anni che ho impiegato a concludere la trilogia di Danny Ryan sono accadute molte cose che mi hanno fatto capire come ci sia bisogno di qualcosa di ben più radicale della storia che può raccontare un romanzo. E ho capito che era venuto il momento di condurre una battaglia in modo diverso per il bene del mio Paese.

Don Winslow
La democrazia americana è minacciata da un aspirante dittatore. Chiusa la trilogia di Danny Ryan, dopo una vita di romanzi, ho capito che è il momento di lottare

Con quali strumenti pensa di contrastare una possibile nuova elezione di Trump?

Posso parlare solo per me stesso, non faccio parte di gruppi o movimenti, ma i video e i messaggi che posto sui social hanno raccolto oltre trenta milioni di visualizzazioni. Resto un narratore, lavoro con parole e immagini: e questo è il modo migliore per contribuire alla lotta.

Nel «Complotto contro l’America» Philip Roth immaginava un governo Usa filonazista guidato da Charles Lindbergh. Se Trump tornasse alla Casa Bianca, cosa sarà del suo Paese?

Certo, e quanto a previsioni funeste si potrebbe citare anche Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood. Cosa sarà dell’America in quel caso? Non riesco ad immaginarlo. Di una cosa sono però certo, se dovesse essere rieletto non avremmo più gli Stati Uniti così come li conosciamo oggi. Già i danni che ha prodotto in passato con la sua presenza sono incalcolabili. Il Paese sarà irriconoscibile e non so se ci riprenderemo mai.