Don Winslow e il noir implacabile dello Studio Ovale
Sul confine tra Messico e Stati Uniti
Cultura

Don Winslow e il noir implacabile dello Studio Ovale

Miti letterari Il terzo e conclusivo volume della saga: «Il confine», per Einaudi. John Dennison/Donald Trump non è il primo che, con una mano, aiuta o si avvale dei trafficanti mentre con l’altra costruisce muri o chiude porti

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 16 luglio 2019

«Qual è la guerra più lunga combattuta dall’America?», chiede Art Keller, già agente della Dea ora promosso a direttore della potente agenzia, a metà del libro che conclude la Trilogia del Cartello di Don Winslow, Il confine (Stile libero Einaudi, pp. 922, euro 22, traduzione Alfredo Colitto). La risposta non è il Vietnam e non è l’Afghanistan: è la guerra alla droga. Prosegue da ormai mezzo secolo. È una guerra persa per tutti tranne che per chi ci si arricchisce da una parte e dall’altra del confine, e non si allude solo ai narcos ma anche a chi, riciclando i miliardi dei narcotrafficanti, ha fatto e fa affari d’oro.

È stata ed è la guerra più sporca. Ha intrecciato i finanziamenti segreti americani ai contras dell’America centrale negli anni ’90. Si è sovrapposta alle operazioni segrete della Cia per eliminare oppositori e guerriglieri comunisti nel «cortile di casa». Ha prodotto e provocato il più sanguinoso conflitto su quella sponda dell’Atlantico dopo la guerra civile americana: la guerra dei narcos, tra il 2010 e il 2012, è costata in Messico 100mila morti e non è finità lì.

ART KELLER, già protagonista di Il potere del cane e poi di Il cartello, quella guerra la ha combattuta sin dall’inizio, quasi sempre dal lato messicano della frontiera. È stato il nemico implacabile, pronto ad allearsi anche col diavolo pur di abbatterlo, e infine l’uccisore di Adàn Barrera, un tempo suo amico, vincitore della guerra dei narcos. Dietro Adàn si cela, in un ritratto fedele sin nella descrizione fisica, Joaquìn Guzmàn, «El Chapo», capo nella realtà come Adàn nella finzione del cartello di Sinaloa, dal 2017 di nuovo in un durissimo carcere americano, dopo tre arresti e due evasioni.

Ma in questo terzo e conclusivo volume della saga, Keller deve invece combattere sul suolo americano, con nemici più subdoli e più potenti. Sono i signori dei dollari, in combutta con quelli dell’eroina, che ha sostituito la cocaina come prodotto d’eccellenza smerciato dai cartelli messicani. Mischiata con i derivati sintetici come il Fentanyl, cinquanta volte più potente delle vecchie Brown Sugar o Black Mug, ha già mietuto vittime a migliaia negli States. Gli immensi capitali così accumulati finiscono con reciproco vantaggio nelle azioni dei lupi di Wall Street. Così, dopo aver speso decenni seguendo il flusso degli stupefacenti, Keller deve ora invertire il percorso e prendere di mira quello dei miliardi che il sanguinoso smercio produce. Da Wall Street a Washington, dal potere finanziario a quello politico, il passo successivo è breve.

Lo scrittore statunitense Don Winslow

ALL’INIZIO DEL ROMANZO il cartello americano mira al bersaglio più grosso, la Casa Bianca. Alla fine lo ha conquistato e la testa di Keller è in cima alla lista delle epurazioni. Il nuovo presidente e il suo potente genero e consigliere sono la sponda a stelle strisce dei signori della droga che in Messico hanno ripreso a massacrarsi e a sterminare innocenti per occupare il trono vacante dopo l’uscita di scena di Adàn Barrera/El Chapo. Nel libro si chiamano John Dennison e Jason Lerner. Sono Donald Trump e Jared Kushner.

IL CUORE DELL’AZIONE si svolge a Washington, ma Winslow non dimentica, in questo monumentale romanzo, il Messico, la terra martoriata dove gli eredi dei patron di un tempo hanno ripreso a combattersi. Sono los hijos, i figli e i nipoti dei protagonisti dei due volumi precedenti. Ricchi, viziati, amici per la pelle all’inizio, finiscono poi rapidamente per scannarsi a vicenda, coinvolgendo di nuovo nelle loro battaglie civili indifesi e chiunque gli si opponga.

L’AMARA REALTÀ che Keller arriva infine a confessarsi è che il solo periodo di relativa calma il Messico lo ha vissuto negli anni della «pace di Sinaloa», quando Adàn Barrera era sovrano incontrastato. La sua scomparsa non ha neppure incrinato il poderoso traffico di stupefacenti lungo i 3600 km di frontiera tra Usa e Messico. In compenso ha scatenato l’anarchia e il sangue ha ricominciato a scorrere a fiumi. In parte dipende dalle trame di un vecchio narcos appena scarcerato dopo tre decenni di galera negli Usa, Rafael Caro, personaggio forse un po’ troppo vistosamente ricalcato sull’Hyman Roth/Meyer Lansky del Padrino II. È uno di quelli che avevano torturato e ucciso l’agente della Dea e amico di Keller, Ernie Hidalgo, nell’assassinio efferato che aveva reso la faida tra l’agente americano e il capo del cartello di Sinaloa una questione personale, ed è deciso a prendere il posto di Barrera usando come armi l’astuzia, la manipolazione e il tradimento.

MA ANCHE senza i maneggi del vecchio trafficante le cose andrebbero allo stesso modo. La nuova guerra sarebbe scoppiata comunque. Fino a che la richiesta di stupefacenti resterà altissima, ci sarà sempre chi si darà da fare per fornirli sgominando la concorrenza con i mitra e i massacri. Un cartello in grado di dominare gli altri e garantire un certo ordine appare così quasi come il male minore. Almeno fino a quando non verrà affrontato il vero cuore del problema, che non è l’offerta di stupefacenti da parte dei grandi trafficanti colombiani o messicani. È l’infelicità degli americani che foraggia la domanda. Per questo Keller, dopo aver dedicato la vita a combattere la droga, approda a posizioni lucidamente antiproibizioniste. Non ideologiche ma pragmatiche.

Nei due filoni narrativi principali, quello americano e quello messicano, tornano molti personaggi dei due libri precedenti, almeno quelli sopravvissuti all’ecatombe: Sean Callan, killer prima di Cosa nostra, poi dei cartelli messicani, e Nora Haydn, prostituta di altissimo livello, che insieme si sono rifatti una vita. Eddie Ruiz, il solo americano diventato patron di un cartello oltre confine. Marisol, la moglie di Keller ferita quasi a morte e menomata per sempre dai nemici dei Barrera, gli Zetas, ex agenti diventati, nella realtà come nel ciclo di Winslow, il più sadico e feroce esercito di narcotrafficanti del Paese.

IL VERO COPROTAGONISTA resta, anche da morto, Adàn. La sua ombra, la sua eredità, persino la sua assenza, riempiono il romanzo. Non potrebbe essere diversamente perché, sul piano strettamente romanzesco, la Trilogia è essenzialmente la storia del rapporto estremo e ambiguo tra Keller e il re dei narcos: un’amicizia che si rovescia in odio reciproco e implacabile senza mai scomparire del tutto.

Winslow inserisce un terzo scenario: l’odissea di Nico, bambino cresciuto nella miseria totale delle baraccopoli del Guatemala, costretto a emigrare verso gli Usa per sfuggire alla guerra tra gang guatemalteche. Un’impresa disperata e rischiosa che tentano in molti, quasi tutti inutilmente. Don Winslow adopera Nico e la sua amica Flo per puntare i riflettori sulla crociata contro i migranti e contro i poveri lanciata in nome della guerra alla droga. John Dennison/Donald Trump non è il primo che con una mano aiuta o si avvale dei trafficanti mentre con l’altra costruisce muri o chiude porti. Ma è quello che porta il losco gioco alle estreme conseguenze. Tutti i Nico del mondo sono le vittime.

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