Europa

Diritti delle donne, dalla dichiarazione di Pechino solo passi indietro

Diritti delle donne, dalla dichiarazione di Pechino solo passi indietroLa direttrice di Un Women Phumzile Mlambo Ngcuk e Shantel Marekera, fondatrice di Little Dreamers Foundation – Ap

Génération egalité Al forum promosso dall’Onu partecipano 150 stati, nel 1995 erano 189. Il Covid ha peggiorato la situazione

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 1 luglio 2021

Più di un quarto di secolo dopo la Dichiarazione di Pechino del 1995, che aveva segnato l’impegno mondiale per lottare contro le diseguaglianze di genere, rimasta praticamente lettera morta senza nessun altro summit internazionale dedicato a questa causa, sotto l’egida dell’Onu Donne si è aperto ieri a Parigi, per tre giorni (e con un anno di ritardo a causa del Covid), il Forum Génération Egalité, co-organizzato da Francia e Messico. In programma ci sono più di 700 interventi.

Sono presenti capi di stato e di governo, dal Senegal e dal Kenya all’Argentina passando per l’Europa, la vice-presidente Usa Kamala Harris (in remoto), Hillary Clinton, che a Pechino aveva fatto un discorso importante è a Parigi, come Nadia Durad, irachena, Premio Nobel della Pace, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, accanto a molti esponenti di organizzazioni che nel mondo lottano per l’eguaglianza (l’Italia è rappresentata dalla ministra delle Pari opportunità, Elena Bonetti). Il dottor Denis Mukwege, ginecologo congolese Premio Nobel della Pace nel 2018, è venuto a proporre una convenzione internazionale per eliminare lo stupro come arma di guerra.

La constatazione è desolante: 26 anni dopo la Dichiarazione di Pechino, «vediamo in molte società, compresa quella europea – ha ricordato Emmanuel Macron – crescere un nuovo periodo conservatore, che rimette in causa i diritti fondamentali».

L’esempio della Turchia è flagrante: da oggi non è più membro della Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne e la violenza di genere. Martedì il Consiglio di Stato turco ha rigettato il ricorso presentato dai partiti di opposizione Chp e Hdp e da organizzazioni delle donne per fermare l’uscita dal trattato, decisa dal presidente Erdogan lo scorso 20 marzo.

Ma il caso turco è solo uno tra i tanti. Il Covid è stato un rivelatore, «un virus anti-sociale e anti-femminista», ha detto Macron, che ha colpito di più le donne, molto spesso in prima linea, che hanno patito maggiormente le conseguenze economiche e sociali. C’è stata una «pandemia dell’ombra», secondo la ministra francese dell’eguaglianza, Elisabeth Moreno, con un aumento delle violenze sessiste e sessuali. Melinda Gates, che partecipa al Forum, afferma che, secondo l’istituto di consulenza McKinsey, sarebbe importante concentrare sulle donne gli sforzi dei piani di rilancio post-Covid, perché «permetterebbe di aumentare il pil mondiale di circa 13mila miliardi di dollari, cioè un aumento del 16% entro il 2030», per dire che «l’eguaglianza dei sessi è una necessità economica».

Ma nei fatti, ha sottolineato Macron, «le libertà indietreggiano, i diritti fondamentali sono ridotti a opzioni». Secondo la segretaria del Forum, l’ambasciatrice francese Delphine O, a causa del Covid c’è stato «un passo indietro di 20-30 anni sui diritti delle donne, anche in Europa», le violenze domestiche sono aumentate del 30%, 47 milioni di donne sono cadute sotto il livello di povertà in questi mesi, 11 milioni di ragazze sono rimaste senza scuola.

Basta parole, adesso ci vogliono fatti, dicono le ong. Gli organizzatori hanno posto delle condizioni agli stati per partecipare: arrivare con proposte concrete e dettagliate in almeno una delle sei “coalizioni di azione” coordinate al Forum: lotta alle violenze, autonomia economica, clima, diritti alla salute, tecnologie, sostegno ai movimenti femministi. Una domanda concreta che ha avuto l’effetto scoraggiante di diminuire il numero dei partecipanti: 150 stati rappresentati oggi a Parigi, mentre 189 avevano firmato a Pechino.

La Francia, per esempio, aumenta il finanziamento al fondo Onu per le popolazioni, con l’obiettivo di facilitare l’accesso delle donne alla contraccezione e all’aborto, ai fondi per l’educazione delle ragazze e per l’iniziativa di «protezione dei difensori dei diritti». L’idea è di coordinare gli stati con le ong, la società civile, ma anche il settore privato (al Forum sono difatti presenti anche molte grandi imprese).

Il Forum si è aperto il giorno dopo il voto definitivo in Francia della legge di bioetica, che estende l’accesso alla procreazione medicalmente assistita (Pma) a tutte le donne (sole, in coppia omosessuale). La legge è un passo avanti, ma le ong sottolineano che arriva molto in ritardo sull’evoluzione reale della società (il governo teme la Manif pour tous, il movimento tradizionalista pro famiglia tradizionale). Per le coppie lesbiche, il riconoscimento dovrà essere congiunto e anticipato: le ong criticano il fatto che la legge di bioetica non abbia promosso una riforma più profonda della filiazione. La legge regolamenta anche l’autoconservazione dei gameti, l’accesso alle origini per chi è nato da un dono (di sperma o di ovulo), la trascrizione in Francia delle Gpa (maternità surrogata), che resta proibita.

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