Fiori di plastica, macchinette mangiasoldi, fumo di sigaretta, sudore, magliette aderenti su corpi sovrappeso, infradito di gomma che si muovono rapide al ritmo del forró, una musica prepotente che si attacca a corpi che ballano appiccicati. È il sabato sera al Recanto Talismã, discoteca di Vila Misionaria, nel municipio di Pedreira, periferia sud di San Paolo. È passata una settimana dal primo turno delle elezioni presidenziali brasiliane, nel quale il candidato progressista Lula ha raggiunto il 48% e il presidente uscente di estrema destra Bolsonaro – sottostimato da tutti i sondaggi – il 43%. Dove gli istituti demoscopici hanno preso l’abbaglio più grande e proprio qui: nello Stato di San Paolo.

«Sorridete» dice la ragazza, puntando lo smartphone verso un gruppo di persone riunite davanti a una torta al Recanto Talismã. Tutti fanno il segno della L col pollice e l’indice, il simbolo della campagna di Lula. Una persona nel gruppo mostra le stesse dita, ma formando una pistola, il simbolo del bolsonarismo. Tutti ridono e brindano per il festeggiato.

Qui, nelle periferie di San Paolo, Lula ha stravinto: nel municipio della discoteca ha preso il 53%, in altri ha superato il 60%. Bolsonaro ha vinto nei quartieri ricchi, ma non ha ottenuto la maggioranza assoluta in nessun quartiere della capitale. «Nelle periferie di San Paolo si è scritta la genesi di Lula e del suo Pt, Partido de Trabalhadores» spiega Thiago Borges, giornalista di Periferia em Movimento, testata indipendente nella zona periferica di San Paolo, con sede a Grajaú, dove Lula ha preso il 62%, Bolsonaro il 27%. «Qui negli anni ’60 è arrivata la grande migrazione interna, le classi povere, i neri» spiega.

La stessa onda migratoria che portò Lula dal nord est alla periferia sud di San Paolo, dove lavorò come operaio metallurgico e divenne sindacalista. «All’epoca, durante la dittatura militare, nacquero i movimenti di protesta sul carovita, organizzati dalle donne, si riunivano nelle chiese, perché non c’erano altri spazi. Il Pt nasce in quel contesto. E ancora oggi è un partito popolare e radicato» racconta Borges.

San Paolo, confronto tv tra Lula e Bolsonaro (Ap)

«Ma le periferie votano con pragmatismo, se lo reputano utile votano a destra. Da qui vengono leader politici importanti di destra, come il sindaco di San Paolo. Nelle periferie con più afrodiscendenti e dove la gente spende più tempo sul trasporto pubblico vince Lula, mentre in quelle più consolidate, dove arriva la metropolitana e ci sono più scuole, vince Bolsonaro» afferma Borges.

«Qui ci sono più chiese evangeliche che bar» racconta Dagoberto, il festeggiato nella discoteca, operatore ecologico, cattolico praticante ed elettore di Lula. «Gli evangelici votano per Bolsonaro. Con alcuni è impossibile parlarci. Non li incontri qui in discoteca, credono che sia un peccato». Il «criterio religioso continua a essere una delle variabili più forti per spiegare il voto a Bolsonaro» spiega Pedro Feliú Ribeiro, professore di Relazioni internazionali della Universidade de São Paulo.

«Sappiamo che tra il sabato e la domenica delle elezioni, i gruppi WhatsApp dei fedeli sono stati inondati di messaggi a favore dei candidati bolsonaristi. Molti la domenica sono andati direttamente dal culto al seggio» dice Borges. Che chiarisce: «Solo le grandi congregazioni – Assembleia de Deus o la Igreja Universal de Deus – fanno campagna per Bolsonaro, le sigle minori sono rimaste neutrali. Per molti, soprattutto per le donne nere, la chiesa neopentecostale è un sostegno materiale e psicologico, dove acquisiscono un’identità e non sono discriminate. E in quelle famiglie ci sono figli omosessuali o persone che finiscono in carcere. È un mondo controverso, come le periferie, attenzione a farne un ritratto semplificato» avverte Borges.

Jozy Lemos, una delle invitate al compleanno, è una militante del Pt. É un po’ preoccupata per il secondo turno per la campagna di Fernando Haddad, candidato del Pt al governo dello Stato. Era in testa nei sondaggi, ma è arrivato secondo (35.7%), dietro al candidato bolsonarista Tarcísio Freitas (42.3%). I sondaggi non lo avevano previsto. Come non prevedevano l’exploit del candidato bolsonarista al Senato, Marco Pontes, l’astronauta come lo conoscono tutti, eletto con il 49.8%. «Entrambi eletti perché associati a Bolsonaro, non per meriti propri» ragiona il professore Feliú Ribeiro.

E «l’errore nei sondaggi è dovuto un po’ al voto della vergogna. Un po’ al boicottaggio sistematico da parte degli elettori bolsonaristi, che si rifiutavano di rispondere ai sondaggi, come facevano quelli di Trump negli Usa o con la Brexit. I sondaggi che si sono sbagliati di meno sono quelli che hanno fatto le rilevazioni per telefono, con risposte automatiche: c’è meno propensione a mentire con una macchina che con un essere umano. E infine il censimento, quello che abbiamo è vecchio di 12 anni e il governo ha ritardato i rilevamenti del nuovo. Non sappiamo, ad esempio, quanti sono gli evangelici. Solo Dio lo sa. La somma di tutte queste cose, ha sottostimato il voto di Bolsonaro e dei suoi candidati» afferma Feliú.

«Haddad ha la strada in salita – dice un po’ sconsolata Jozy -, sarebbe stato meglio andare al secondo turno con Rodrigo Garcia, della destra moderata del Psdb, non con il candidato bolsonarista, il quale adesso avrà un palcoscenico nazionale a disposizione». Il Psdb è il grande sconfitto di questo primo turno delle elezioni a San Paolo, nello Stato che ha governato per 28 anni, gli elettori si sono convertiti al bolsonarismo.

«Dagli anni ’90, la frattura politica in Brasile è tra Pt e anti-Pt. Il Psdb interpretava la tendenza anti-Pt. Ma con l’inchiesta Lava Jato – la Mani pulite brasiliana, il maxi processo che ha fatto tremare il sistema partitico brasiliano nel 2016 – i dirigenti del Psdb sono andati in carcere e il partito, a differenza del Pt, non aveva un’identità e una base militante per resistere al terremoto giudiziario. E molti lo hanno giudicato troppo morbido su alcune questioni, per esempio sulle quote razziali proposte dal Pt nelle università, è stato vittima del backlash, la controreazione rabbiosa di una classe media-bassa e bianca. Gli elettori gli hanno voltato le spalle e scelto Bolsonaro. E anche i soldi sono andati con Bolsonaro: nella lista dei finanziatori di Tarcísio, ci sono molti nomi delle grandi imprese agricole che prima sostenevano il Psdb».

Così come nel Partito repubblicano negli Usa, dirigenti ed elettori si sono convertiti al radicalismo trumpista, Bolsonaro è diventato il socio maggioritario della destra brasiliana e l’ha trasformato in un fenomeno politico di massa. «Trump e Bolsonaro non solo condividono gli stessi punti di riferimento teorici, come Steve Bannon, ma anche i modi di fare politica, come l’uso dei social network» spiega Filiu.

Alla festa in discoteca c’è anche il padre di Jozy, «lui vota Bolsonaro» spiega con un sorriso amaro la figlia. «Nel 2018 votò Pt, ma allora abitavamo assieme e parlavamo molto. Poi sono andata a vivere con mio marito e lui è rimasto con i suoi amici, gente che lavora nella sicurezza privata e va in giro armata». Il padre intanto spiega con dettagli di particolari le ragioni che rendono il vaccino anti-Covid molto pericoloso e il perché Bolsonaro ha raccomandato cure alternative. «Sono cose che sente su Youtube, sui canali bolsonaristi come Jovem Pam e Antagonista. Youtube è la sua televisione».

Lemos ha fatto campagna per Juliana Cardoso, eletta nel Pt come deputata federale. Il Pt stavolta ha registrato il risultato più alto di sempre nella città di San Paolo, con quasi il 50% dei consensi. E, grazie al voto delle periferie, la sinistra e i movimenti sociali hanno eletto molti dei propri leader, come Guilherme Boulos (Psol), il più votato alla Camera federale. «Il Pt è un partito complicato – racconta Lemos -, diviso in correnti. Per essere candidati bisogna passare il voto degli organismi dirigenti. Ma alla fine, le decisioni strategiche le prende Lula. Come ad esempio la scelta del candidato vicepresidente, Geraldo Alckmin» afferma Lemos.

 

Lula con Geraldo Alckmin (Ap)

Alckmin, ex-Psdb, politico moderato di lungo corso, conosciuto come picolé de chuchu’, un gelato al gusto di niente, è stato scelto da Lula per dare un segnale alle imprese, al voto moderato nelle zone interne di Sao Paulo. Ma finora il contributo di chuchu’ è stato minimo: Bolsonaro ha stravinto nelle zone interne, anche a Pindamonhangaba, municipio d’origine di Alckmin. Per questo ora c’è un cambio di strategia «Alckmin farà campagna da solo all’interno di Sao Paolo, senza Lula né Haddad. Non so se funzionerà, lo vedremo alla fine – afferma Lemos -, certo, Haddad dev’essere più incisivo, mordere di più nei dibattiti». Nelle strade, il coro per Haddad è «Haddad è professore, Haddad è un lottatore». «Finora si è visto più il professore, ora deve lottare di più, giocare sporco come fanno i bolsonaristi» conclude Jozy Lemos. È la stessa richiesta che molti fanno a Lula: reagire al gioco sporco di Bolsonaro con le stesse armi. Potrebbe pagare nel breve periodo per vincere un’elezione, ma potrebbe anche essere un’accelerazione verso un universo politico sempre più violento.