La redazione consiglia:
L’umanità eroica degli artisti di PapaioannouDavvero è un caso unico oggi quello di Dimitris Papaioannou, un artista greco, quasi sessantenne ma assai prestante, che polverizza in pochi anni regole, barriere, confini e senso del linguaggio spettacolare. Coinvolgendo masse di spettatori (entusiasti quanto turbati) in ogni continente con le sue visioni, «riflessioni» e suggestioni, attraverso spettacoli «muti», se non fosse per limitati inserti musicali, e nel caso attuale (Ink appena visto a all’Argentina di Roma e alla Triennale di Milano), per il rumore dell’acqua che fluisce costante in palcoscenico, con usi diversi ma tutti invasivi. Il pubblico risponde alla fine con applausi (anch’essi quasi ipnotici) consistenti e prolungati a quelle immagini che in un’ora precisa mostrano lo scontro/incontro tra due esseri umani, e con la natura in diverse sue forme. Nella sua apparenza fortemente (e «violentemente») spettacolare, ma evocando il sapore di antiche leggende o di favole orrifiche che una loro «morale» gradualmente svelano. Qualcuno ci può vedere l’impianto di un film horror, ma è certo che quella esasperata fisicità tocca ogni spettatore da vicino. Come nell’antica letteratura greca, i racconti, leggende di favola o di tragedia, hanno sempre un consistente nerbo esistenziale e «civile», articolato e complesso, ma ineludibile, su cui misurare l’umanità.

LO SPETTACOLO evoca in qualche modo un duello, uno scontro tra due creature, l’uomo in nero e l’uomo nudo, il «vecchio» e il giovane. Ma questo combattimento ha la particolarità di aver luogo sotto il fisico influsso dell’acqua. Che ha in sé un grande potere nutritivo e insieme di pericolo, elemento di forza ma anche forse di salvezza. E se la sua caratteristica prima è la trasparenza, il titolo dello spettacolo è invece Ink, ovvero inchiostro.
Inchiostro perché Papaioannou nasce del resto come artista visivo, e ammette che quello è l’elemento fondamentale per scrivere e disegnare. Strumento quindi vitale, come il nero di seppia, l’animale che infatti in diversi momenti e circostanze diviene, nello spettacolo, arma di offesa e assalto, ma anche strumento di «protezione» (ad esempio, in certi momenti, della sessualità nuda del giovane). Materiale «molle» quel mollusco, ma resistente. Strumento quasi fondamentale in quel duello all’ultima goccia d’acqua, che intanto sgorga, e allaga, e defluisce, da quel paesaggio «magico», e insieme infernale, per l’umano.Da apprezzato artista visivo, fu chiamato nel 2004 a creare la maestosa inaugurazione delle olimpiadi ateniesi, ma poi, nel 2015 a Baku, moltiplicò le immagini per l’inaugurazione di quei «giochi europei» in Azerbaigian

UNA SCENA acquatica, ma foderata di scure pareti di plastica, enormi e sinistre, mobili e falsamente trasparenti, plasmabili nel loro scricchiolìo. In cui all’inizio qualcuno può supporre un combattuto rapporto omosessuale, per quanto «a bagnomaria». Ma la “storia” coinvolge presto qualsiasi rapporto tra esseri umani, tra attrazione e repulsione, esercizio del potere e violenza. Anche se qui prevale nettamente lo scontro, in un continuo ribaltamento delle parti. Più da western, se si vuole, che da horror. Anche perché le immagini, come sempre nei lavori di Papaioannou, si ricompongono in figurazioni che paiono evocare la pittura italiana rinascimentale. E come spessore narrativo si affacciano di continuo citazioni mitologiche dell’antica Grecia, come Kronos che uccide i suoi figli per paura ce lo spodestino, come succederà infatti con Zeus (e qui la citazione porterebbe a Goya).
In pochi anni, questo eterno giovanotto, lucido e forbito, sta guidando lo spettatore in una escalation visiva ma dalle implicazioni quasi «coscienziali».

DA APPREZZATO artista visivo, fu chiamato nel 2004 a creare la maestosa inaugurazione delle olimpiadi ateniesi, ma poi, elaborando e ampliando la sua spettacolarità, nel 2015 a Baku, moltiplicò le immagini (e le atmosfere, e le senzazioni davvero «sovrumane») per l’inaugurazione di quei «giochi europei» in Azerbaigian, dove la natura parlava quanto e forse più che i corpi e i movimenti degli atleti. O meglio, si dilatava nell’immenso stadio di Baku quella dialetttica tra spirito e materia, umanità e natura, dove le Origins del titolo si dilatavano tra luci ed effetti mirabolanti orchestrati dalle sonorità maestose e incalzanti di Teodor Currentzis, il suo orecchio musicale che risuonava anche in Ink, ora che le musiche di Kornilios Selamsis hanno preso il posto dell’iniziale e più rasserenante Vivaldi.

MUSICHE quasi di guerra, come del resto il suo teatro che trova la sua molla e la sua vitalità forse proprio nello spirito del «conflitto». Una parola che può essere la chiave per leggere tutto il suo teatro. Quando pochi anni fa, per primo è stato chiamato a Wuppertal per elaborare una creazione per la compagnia orfana di Pina Bausch, ha creato per quei performer in Since she un corpo a corpo con enormi scatoloni che su di loro precipitavano e si «accanivano» come fossero dotati di mente. O ancora, nella performance creata a Reggio Emilia alla fondazione Maramotti, sulle spalle degli artisti pesavano enormi «materassi» dai rigidi spigoli, da cui poi uscivano i corpi scattanti di altri loro colleghi.
È un «conflitto» il suo che costringe l’umanità a dover combattere, con le forme, e con un’altra umanità che vi è contenuta, appena celata. In Transverse Orientation (la sua ultima creazione, data anche a Napoli e Roma) l’immagine simbolo nella memoria è un enorme e mitico «minotauro», costruito coi corpi e le energie di diversi performer, aggressivo quanto disposto a farsi domare. Papaioannou con la magia del suo teatro ci aiuta a prenderne coscienza.