Dilettanti mandati allo sbaraglio. Violento j’accuse di un ex-agente antiterrorismo
Intelligence Mancanza di risorse, calcoli elettorali dei borgomastri e logica «comunitaria»
Intelligence Mancanza di risorse, calcoli elettorali dei borgomastri e logica «comunitaria»
L’atto di accusa più duro non è arrivato né dall’estero né da ambienti cui si può rimproverare di conoscere solo per sentito dire il lavoro dell’intelligence. Dopo mesi di polemiche sulle negligenze dimostrate dagli apparati di sicurezza del Belgio, a pronunciare una condanna senza appello sono ora proprio degli ex membri dei «servizi» locali.
Appartenente fino al 2012 al «Service général du renseignement et de la sécurité», Sgrs – il controspionaggio militare, principale agenzia dell’antiterrorismo belga creata già nel 1915 – e in seguito riciclatosi nei centri privati di analisi della sicurezza, a poche ore dalle stragi di Bruxelles Bernard Snoeck ha pubblicato su Internet un violento intervento contro i vertici politici e militari del paese intitolato semplicemente «J’accuse!» in cui stila una lunga lista di accuse all’establishment, sostenendo come non si siano dati «ai servizi d’intelligence i mezzi (fondi e leggi adeguate) per provare a evitare questo tipo di attacchi».
Secondo Snoeck, che dice di parlare anche a nome di molti colleghi ancora in servizio, in Belgio «la comunità d’intelligence manca delle giuste risorse umane» e di un «addestramento efficace». Inoltre, non è stato «sviluppato un dipartimento di analisi: raccogliamo i dati ma non li analizziamo. I nostri “analisti” sono poco più che archivisti».
Quanto ai motivi che hanno reso possibile una simile situazione, l’ex membro del Sgrs non ha dubbi: la responsabilità è in primo luogo dei politici che, sia per l’intelligence militare che per quella della Sûreté de l’État – i «servizi» civili, una delle più antiche agenzie di intelligence europee, creata già nel 1830 -, hanno «nominato la dirigenza unicamente in base alla loro affiliazione politica», impedendo che potessero emergere capacità e specializzazioni. Sul fondo, si delinea poi un’accusa ancora più grave. Quella in base alla quale la politica non avrebbe «voluto capire l’ascesa dell’islam estremista» e l’avrebbe anzi «ignorata deliberatamente, perché temeva di perdere voti».
Un riferimento, quest’ultimo, emerso già lo scorso Novembre quando si scoprì che la mente degli attentati di Parigi era nel quartiere di Molenbeek, a Bruxelles.
Come ha fatto notare Alain Chouet, ex ufficiale dell’intelligence francese che ha lavorato a lungo presso l’Sgrs di Bruxelles, e che ha deciso di rompere il proprio silenzio dopo le stragi di martedi, «in Belgio, nei municipi dei piccoli comuni il vero potere lo detengono i borgomastri»: ben 19 sono quelli che formano l’area urbana della sola capitale. E «alcuni di questi borgomastri, specie a Bruxelles, hanno costruito la loro intera carriera politica basandosi proprio sul voto delle comunità musulmane. Così, per non turbare i rapporti con i loro elettori, hanno spesso impedito all’intelligence federale di interferire in quanto accadeva nei loro comuni».
Per Chouet, a determinare l’inefficienza degli apparati della sicurezza locali, e la conseguente sottovalutazione della minaccia jihadista, avrebbero contribuito diversi elementi. Da un lato i citati interessi elettorali dei politici di Bruxelles e i rapporti privilegiati del Belgio con l’Arabia saudita, sponsor degli integralisti; dall’altro il fatto che il conflitto politico permanente tra fiamminghi e francofoni richiede per ogni nomina o stanziamento di risorse anche minino la ricerca di un delicato equilibrio inter-comunitario, impedendo il rapido funzionamento di strutture unitarie anche in questo ambito.
Del resto, in un rapporto pubblicato già all’inizio del mese dal Comité permanent de contrôle des services de police che monitora l’attività delle forze dell’ordine, è evidenziata proprio la «difficoltà di condividere le informazioni tra i cinque diversi corpi di polizia giudiziaria» del paese, organizzati su base comunitaria e linguistica.
Le molte ombre emerse in questi ultimi mesi sul lavoro dell’antiterrorismo belga si vanno poi ad aggiungere a quelle che accompagnano da sempre l’attività dei servizi locali. L’ultimo caso, in ordine di tempo, ha riguardato le rivelazioni di Edward Snowden sugli stretti legami intercorsi tra la Sûreté de l’État, e la Sgrs, con la statunitense National Security Agency (Nsa) che avrebbe realizzato un gran numero di intercettazioni telefoniche illegali nel paese. E solo lo scorso anno, il giornalista Lars Bové aveva suscitato un vasto dibattito con la sua inchiesta, Les secrets de la Sûreté de l’État (Lannoo editions), sui tanti misteri accumulati da questa branca dei servizi.
Prima di oggi, l’affaire più inquietante in cui erano incappati gli spioni locali resta però indubbiamente il caso delle «tueries du Brabant» (gli assassinii del Brabante), la lunga serie di rapine compiute con armi da guerra e con lo stile delle forze speciali che fecero 28 morti tra il 1982 e il 1985. Anche in quel caso emersero negligenze e ritardi nel lavoro dell’intelligence.
Per quanto si sia indagato sugli ambienti dei servizi e delle forze armate, oltre che su quelli della destra radicale, la Commissione parlamentare che fu istituita alla fine degli anni Ottanta per far luce su questi fatti fu costretta a concludere che malgrado fosse probabile che dei «servitori infedeli dello Stato» erano stati parte di un «piano eversivo» per favorire una svolta autoritaria nel paese, non si era potuto risalire ai loro nomi o agli incarichi di cui avevano goduto nelle istituzioni.
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