Bene, si è m esso in moto il meccanismo elettorale. Osservando lo sconquasso prodotto dalla stratosferica mancanza di lucidità di Conte, mi è venuto in mente Paolo Spriano.
Ho avuto la fortuna sfacciata di seguire i suoi corsi di “Storia dei partiti politici” per due anni, pur non avendo mai fatto l’esame perché Spriano morì prima della sessione nella quale volevo sottopormi alla prova (nel 1988! ). Mi piaceva Spriano, al punto che non volli più fare l’esame senza di lui. Non aveva i difetti classici degli intellettuali del Pci, cioè non sembrava appartenere ad una élite piuttosto chiusa in una rete relazionale molto forte. Infatti Spriano aveva fatto la Resistenza in “Giustizia e Libertà” e poi, con «la conclusione più naturale di una simpatia piena d’amore verso la classe operaia» (come dichiarò più o meno in una intervista) si era iscritto al Pci con “coerenza Gobettiana”. Il mio prof, Guido Aristarco, anche lui nel partito fondato da Carlo Rosselli, aveva resistito alla tentazione ed era rimasto “a sinistra” del Pci, pur mantenendo rapporti strettissimi con personaggi di calibro del partito come Argan.

Perché ho pensato a Spriano? Perché studiando la storia dei partiti politici metteva sempre in relazione le motivazioni storiche e personali di chi vi aveva aderito, quindi mi sono chiesto cosa avrebbe pensato oggi, dinanzi a partitucoli composti da transfughi e naufraghi di ogni dove politico che si ergono a difensori di una esclusiva purezza (vedi Calenda, la Bonino ecc.) che alzano il ditino per decidere chi può e chi non può far parte di un raggruppamento politico, che anche qualora fosse composto da un solo partito, sarebbe comunque un rassemblement di personalità di diversa provenienza.

Quale forma di “amore” hanno queste personalità e queste formazioni politiche? Verso cosa la rivolgono?
Gobetti, in piena guerra, dopo il delitto Matteotti, immaginò che per superare il regime fascista non bastasse la parola d’ordine del PCD’I, che vedeva solo nel “sommovimento delle masse” e nell’ “isolamento” del fascismo la via d’uscita dalla dittatura. Da quella intuizione gobettiana nasce l’idea dell’unità delle forze antifasciste che poi si riconobbero nel Cln, formazione contraddittoria ma vincente.

Le personalità politiche ora in campo nel “centro-sinistra”, come ha ampiamente dimostrato la ridicola crisi del governo Draghi, nella quale la destra ha sfoderato come al solito un cinismo senza pari, non sembrano in grado di trovare la quadra.
Il fatto è che mancano proprio le due essenziali categorie che fanno della democrazia rappresentativa qualcosa di serio e non una patetica rappresentazione da operetta: la statura dei dirigenti e la tensione etico-politica.

Ecco che stiamo rischiando di dare alla estrema destra italiana l’occasione storica di cambiare la costituzione. Per questo qualche giorno fa Massimiliano Smeriglio (in veste gramsciana-gobettiana) ha lanciato un grido d’allarme, superando la ripulsa per l’inettitudine di Conte, ha insistito sul “campo largo”, fuori tempo massimo, anche se le vie della politica sono infinite.
A sinistra il clima non è migliore, tra Rc, i Verdi, De Magistris ecc, il “polo” che dovrebbe ricomporsi attorno allo sfracellato M5s (che secondo me con la sinistra non c’entra nulla, come coerentemente ha sempre detto Grillo) non vive momenti luminosi.

Ma ammesso che si possa ricucire lo strappo mettendoci una toppa sul piano elettorale, non avremo purtroppo né qualità della classe dirigente né quella forma di “amore” necessaria per non far cadere il paese in un baratro. Sono sempre più convinto che bisogna entrare nell’ottica di dover difendere con ogni mezzo nei prossimi anni la forma imperfetta di democrazia che abbiamo ereditato.