Di Maio sta con Salvini. E’muro contro i sindaci: «Traditori, si dimettano»
Banditi Il vicepremier leghista attacca a testa bassa, M5S di complemento. Finto invito al dialogo da Palazzo Chigi: «Ma le leggi si applicano». Migranti, unioni civili: tutte le volte che il leghista ha incitato gli amministratori alla disobbedienza
Banditi Il vicepremier leghista attacca a testa bassa, M5S di complemento. Finto invito al dialogo da Palazzo Chigi: «Ma le leggi si applicano». Migranti, unioni civili: tutte le volte che il leghista ha incitato gli amministratori alla disobbedienza
Se qualcuno aveva un dubbio, Luigi Di Maio lo fuga con decisione: le proteste contro il decreto sicurezza sono solo «campagna elettorale di sindaci che si devono sentire un po’ di sinistra». Così il capo politico dei 5 stelle, dopo un giorno di incertezza, si mette sulla scia del collega Salvini. Che nel frattempo alza la temperatura dello scontro con i primi cittadini che hanno annunciato di non applicare una parte del decreto sicurezza. I due vicepremier dunque sono d’accordo.
MA LA SCENA È solo del titolare del Viminale. Per tutto il giorno strilla e minaccia sui social: «Se c’è qualche sindaco che non è d’accordo, si dimetta»; «Chi aiuta i clandestini odia gli Italiani, ne risponderà davanti alla Legge e alla Storia», le maiuscole sono nel testo; «Chi non rispetta il Decreto Sicurezza e aiuta i clandestini, tradisce l’Italia e gli Italiani», «Io comunque on mollo!!!», esclamativi nel testo, «Col Pd caos e clandestini, con la Lega ordine e rispetto», fino allo slogan multiuso «anche per loro è finita la pacchia!».
A NON MOLLARE PERÒ sono anche i sindaci. Leoluca Orlando, il primo a formalizzare il dissenso con un atto della sua amministrazione, ribadisce di puntare a portare il decreto sicurezza al vaglio della Consulta. Il sindaco di Firenze Nardella (Pd) è con lui. Da Napoli Luigi De Magistris fa un passo oltre e annuncia di essere pronto ad accogliere la nave Sea Watch 3, quella che vaga per mare da quattordici giorni con 32 persone a bordo. Al loro fronte si unisce il sindaco di Bergamo Gori (Pd) e quello di Livorno Nogarin (M5S) ma soprattutto quello di Milano Beppe Sala (Pd) che chiede di rivedere le norme. Il suo assessore Majorino convoca una manifestazione il 3 marzo. Il candidato segretario dem Martina lancia la racconta di firme per un referendum abrogativo del decreto, ma va detto che la proposta cade nel vuoto, non per la prima volta. E nel Pd si segnala qualche crepa: è il caso dell’ex dc ed ex sindaco di Viterbo Fioroni, e di Antonello Giacomelli: stigmatizzano l’intenzione di non applicare le leggi.
DALL’ALTRA PARTE Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) si schiera con Salvini («Decreto troppo blando, Orlando e De Magistris talebani»). Forza italia prende le distanze dalla protesta. I sindaci leghisti vengono arruolati per alzare lo scontro contro il presidente dell’Associazione nazionale dei comuni De Caro (Pd).
Le prossime regionali infiammano gli scontri locali: i leghisti sardi si scatenano contro il sindaco di Alghero Mario Bruno che attacca Salvini («Non ci spaventa»), a difesa arriva il candidato del centrosinistra Massimo Zedda, sindaco di Cagliari, che non si unisce ai disobbedienti ma ammette: «Il decreto renderà le nostre città più insicure».
È MURO CONTRO MURO, insomma. Il presidente del consiglio Conte, che ne governo interpreta la parte del moderato in dialogo con il Vaticano, si guarda bene dall’intervenire. Il suo staff fa circolare un messaggio. Violare le leggi «è inaccettabile», è il contenuto, «il nostro ordinamento giuridico non attribuisce ai sindaci il potere di operare un sindacato di costituzionalità». Una puntualizzazione inutile, i sindaci lo sanno bene, infatti puntano al giudizio della Consulta. Ma il premier fa sapere «di essere disponibile ad incontrare i sindaci», alla luce delle richieste avanzate dall’Anci. Ma è tutto teatro: Salvini fa sapere che il decreto non si tocca.
NEL POMERIGGIO poi sui social circola un ricordo scomodo per il titolare del Viminale: è l’elenco delle tante volte che lui stesso istigò alla disobbedienza civile. Non c’è bisogno di risalire ai tempi in cui la Lega predicava la disobbedienza fiscale. Basta guardare indietro di pochi anni: quando Salvini nel 2016 consigliava il boicottaggio dell’accoglienza ai profughi della legge sulle unioni civili. La risposta del Viminale non si fa attendere. Stavolta sotto forma di anonime fonti del ministero arriva un messaggio che è un avviso: il contestato intervento di freno all’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo «era già stato sollecitato dall’Anci, nel febbraio 2017, in sede di adozione del decreto Minniti» e «il decreto ha raccolto quel suggerimento». Al di là delle sparate di Salvini il Viminale sembra provare a indicare ai comuni una strada: «La misura non riduce le tutele del richiedente asilo. L’accesso ai servizi previsti dal decreto e quelli erogati sul territorio sono assicurati dal luogo di domicilio. Nel 2017 Decaro era già presidente Anci».
IL DECRETO COMUNQUE non si cambia. Salvini chiude la questione in serata su Radio uno. «Lo abbiamo già discusso, limato e migliorato», dice. Il finale è una battuta sarcastica all’indirizzo della sinistra «buonista»: «Lo ha firmato il presidente della Repubblica e adesso questi sindaci vorrebbero disattendere una legge firmata al presidente della Repubblica?».
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