Di assedio si fa virtù. Le invenzioni a mani nude di Gaza
Gaza Turbine eoliche, macchine elettriche e il primo mattone fatto di carbone e cenere. Dopo 11 anni di occupazione i gazawi hanno sviluppato una scienza utile e «fai da te»
Gaza Turbine eoliche, macchine elettriche e il primo mattone fatto di carbone e cenere. Dopo 11 anni di occupazione i gazawi hanno sviluppato una scienza utile e «fai da te»
Far di assedio virtù: in uno dei territori più affollati del pianeta, quasi due milioni di persone chiuse in 365 chilometri quadrati, con il 97% di acqua non potabile ed energia elettrica disponibile dalle quattro alle sei ore al giorno, Gaza si ingegna. Pannelli solari fatti in casa, auto elettriche assemblate sui tetti, mattoni costruiti con il carbone, sono alcune delle invenzioni che scandiscono da qualche anno la vita nella Striscia.
E se l’assedio israeliano compie undici anni, è il periodo successivo all’ultima offensiva militare «Margine Protettivo» (luglio-agosto 2014) ad aver stimolato giovani studenti e ricercatori. Perché, a quasi quattro anni di distanza, Gaza non è mai stata ricostruita: l’intricato sistema imbastito dalle Nazioni unite, su idea dell’inviato speciale Robert Serry, si è presto arenato per la mancanza dell’elemento indispensabile, il cemento.
Da Israele non entra quasi nulla e decine di migliaia di famiglie vivono ancora da sfollate o in affitto forzato. Solo il 20% delle 17mila case distrutte o seriamente danneggiate è stato ricostruito.
Se il cemento non c’è, ha pensato due anni fa Majd Masharawi, laureata in ingegneria civile, usiamo qualcos’altro. Con l’amica Rawan Abdelatif si è inventata la «Green Cake»: dopo un anno di tentativi hanno prodotto il loro primo mattone fatto di carbone e cenere. Letteralmente, l’araba fenice che risorge dalle sue ceneri. Il mattone, unico al mondo, pesa la metà di un mattone normale e, test alla mano, è più resistente. Ed è anche molto più economico, elemento non da poco in un territorio schiacciato dal 44% di tasso di disoccupazione (valore che supera il 60% tra i giovani di età compresa tra 15 e 29 anni). Il carbone a Gaza non manca: ogni giorno i ristoranti producono 30 kg di carbone, ogni settimana le fabbriche di stoviglie di argilla sette tonnellate. Dopo decine di tentativi falliti, Majd ha prodotto il primo prototipo grazie ad una piccola fabbrica: ha avanzato per tentativi vista l’assenza nella Striscia di laboratori in grado di testarne durata e resistenza.
Ce ne sono in Cisgiordania ma la separazione delle due enclavi palestinesi da parte di Israele ha impedito al mattone di superare due muri di cemento.
Lo scorso anno la «Green Cake» ha vinto il premio Mobaderoon III per start up locali e un finanziamento per la produzione dei primi mille mattoni, attirando l’attenzione del progetto Japan-Gaza Innovation Challenge. Il mattone, che non è riuscito a sbarcare in Cisgiordania, è volato in Giappone per i test.
È invece del mese scorso la fiera organizzata dall’Autorità dell’ambiente palestinese, in contemporanea a Gaza, Hebron e Jenin. Un festival delle invenzioni per migliorare la qualità della vita sotto assedio: le ingegnere Rana al-Ghossein, Fidaa al-Shanti e Haya al-Ghalayini hanno presentato un macchinario a energia solare che aumenta l’umidità dell’aria e produce gocce d’acqua (un litro di acqua potabile l’ora), mentre l’ingegnere Islam al-Amoudi si è inventato un macchinario che sfrutta la sabbia e la pressione per filtrare le acque reflue per utilizzarle per l’irrigazione.
Gioca con il vento, invece, la prima turbina eolica fatta a mano. L’hanno costruita due ricercatori, Mohamed Elnaggar e Ezzaldeen Edwan, del Palestine Technical College di Deir al-Balah, a sud di Gaza. Dal 2007 Israele vieta l’ingresso a Gaza delle turbine per generare energia dal vento e i due hanno pensato di fare da soli.
E hanno vinto: la cooperazione tedesca ha finanziato il progetto dopo il primo prototipo, dal costo totale di 4.700 dollari e capace di produrre 5 kilowatt all’ora. Con cinque turbine, dicono Mohamed e Ezzaldeen, si può produrre energia per un intero palazzo di 20-25 appartamenti.
Era fatta a mano anche la prima auto elettrica gazawi: ad assemblarla, nel 2012, è stato un tassista di 32 anni, Munther al-Qassas, che la carenza di carburante doveva sopportarla ogni giorno, tra file interminabili alle pompe di benzina a secco e costi che lievitavano.
L’ha costruita sul tetto della sua casa a Gaza City: ha due posti oltre al guidatore, è senza sportelli ed è più piccola di una Smart, non supera i 20 km all’ora ma permette di tamponare la crisi. E sfidare l’occupazione.
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