Nelle stesse ore in cui arriva la condanna della Corte europea dei diritti umani all’Italia per maltrattamenti nei confronti di un ergastolano a cui non sono state garantite le cure mediche dovute, sale a otto il numero di decessi di detenuti in carcere dall’inizio dell’anno. Due in un solo giorno.
È la seconda volta nel giro di una settimana che nel carcere Montacuto di Ancona muore un recluso. Dopo Matteo Concetti, suicida in una cella di isolamento (ma gli inquirenti hanno aperto un’inchiesta per istigazione), nella notte tra giovedì e venerdì è deceduto anche un 41enne di nazionalità algerina che era stato arrestato il 3 gennaio a Loreto per possesso di 52 grammi di eroina. A dare l’allarme sono stati i suoi compagni di cella, ma per stabilire le cause della morte bisognerà attendere l’autopsia disposta dalla procura.

In quel di Caserta, invece, a dare notizia di un «probabile infarto» che avrebbe ucciso un detenuto di Santa Maria Capua Vetere (il carcere dell’«orribile mattanza» ad opera di alcuni agenti sui detenuti) è il Sappe. L’uomo, di 46 anni, era ristretto nel reparto di alta sicurezza “Tamigi” e il sindacato di Polizia penitenziaria coglie l’occasione per lanciare l’allarme sulla sanità penitenziaria: «Altro che emergenza superata», commenta il segretario generale Donato Capece.

Che in una nota riporta i dati del rapporto su «Salute mentale e assistenza psichiatrica in carcere» del Comitato nazionale per la bioetica secondo il quale al primo posto tra le tipologie di disturbi che affliggono la popolazione carceraria ci sono la dipendenza da sostanze psicoattive (23,6%), disturbi nevrotici e reazioni di adattamento (17,3%), disturbi alcol correlati (5,6%). In realtà sembrano dati sottodimensionati: stando per esempio a quanto riportato dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria «si stima che considerando anche il sommerso, oltre il 60% dei detenuti faccia uso di stupefacenti, mentre prima del Covid non si arrivava al 50%». Disturbi, malattie e dipendenze, comunque, che quasi mai vengono trattati adeguatamente.

Un fatto rilevato, come spesso accade, dalla sentenza di Strasburgo che censura l’Italia per il maltrattamento inferto ad un uomo, condannato all’ergastolo per reati di mafia, che aveva fatto ricorso alla Corte nell’ottobre 2020. L’ergastolano soffre di diversi problemi di salute, tra cui una grave osteoporosi, ed è stato riconosciuto invalido al 100%. Ma né nel carcere romano di Rebibbia, dove la sanità è nelle mani della Regione Lazio, né a Milano e neppure a Parma, ossia nelle regioni dove la salute pubblica è mediamente meglio tutelata, il detenuto ha ottenuto le cure «adeguate», secondo la Cedu. Malgrado i giudici di Strasburgo non abbiano ritenuto il detenuto incompatibile con il regime carcerario, Strasburgo ha comunque evidenziato che «nonostante i referti medici indicassero la necessità di una fisioterapia regolare e un trattamento riabilitativo intensivo, i cicli di fisioterapia sono stati sporadici, e non c’è alcuna prova che il detenuto abbia mai avuto accesso a un trattamento riabilitativo intensivo».