Con un comunicato accorato il governatore della Florida Ron DeSantis ha abbandonato la corsa per la nomination repubblicana.

“Se potessi fare qualcosa per produrre un risultato favorevole, più eventi della campagna, più interviste, lo farei, ma non posso chiedere ai nostri sostenitori di offrire volontariamente il loro tempo e di donare le loro risorse, se non abbiamo una chiara visione del percorso verso la vittoria. Di conseguenza, oggi sospendo la mia campagna”.

Considerando che Ron DeSantis aveva raccolto 130 milioni di dollari e che la sua corsa si è fermata dopo aver raccolto appena 21.000 voti in Iowa il 15 gennaio, si può dire che ha speso 6.190 dollari per voto. Un po’ troppo, per un candidato che aveva festeggiato come un’incredibile vittoria l’essere arrivato secondo e distanziato di 30 punti.

La sua campagna era incentrata sul posizionamento ben più a destra di Trump, che descriveva come troppo vago in tema di cancellazione del diritto di aborto, e poco integerrimo con i propri sostenitori.

“Trump ha sempre mentito ai media mainstream e liberal – aveva detto DeSantis durante un comizio in Iowa – E questo è normale, lo facciamo tutti, lo faccio anche io. Ma ora Trump sta mentendo a noi! Ai conservatori!’.

Dopo essersi ritirato, in una dichiarazione video dalla Florida, l’ormai ex sfidante ha appoggiato Trump e ha detto di non vedere l’ora di terminare il suo secondo mandato come governatore.

Eppure DeSantis era entrato nella corsa repubblicana con finanziamenti senza eguali e un piano da 269 milioni di dollari per cambiare il modo in cui vengono solitamente finanziate le campagne.

Il suo primo manager, Generra Peck, aveva sviluppato la strategia e scelto la leadership per guidare un nuovo enorme super Pac chiamato Never Back Down (Non cedere mai), ma meno di una settimana dopo la schiacciante sconfitta in Iowa, e pochi giorni prima che gli elettori del New Hampshire gliene infliggessero un’altra, DeSantis ha ceduto e si è ritirato dalla corsa presidenziale del 2024.

La sua uscita segna una caduta sorprendente per un repubblicano che, per un certo periodo, è apparso nella posizione ideale per strappare il partito dalla morsa di Trump.  DeSantis sembrava avere tutto: denaro, slancio, un background avvincente, un’età che marcava un ricambio generazionale e una storia di successo da condividere.

Quello che non aveva, però, era il margine di errore nello scontrarsi con un ex presidente idolatrato dalla sua base, e la campagna di DeSantis di errori ne ha fatti molti, come hanno ammesso i suoi consiglieri e sostenitori: “Ogni singola cosa che non sarebbe potuta andare come avevamo sperato o pianificato è andata terribilmente storta”, ha detto un consigliere di De Santis ai microfoni della Cnn.

Oltre alle gaffe dovute a una drammatica mancanza di doti comunicative, per i consiglieri di DeDantis la corsa sarebbe stata diversa se Trump non stesse affrontando quattro incriminazioni e 91 capi d’imputazione nei tribunali federali e statali, cosa che molti ritengono abbia galvanizzato i repubblicani che si sono stretti attorno all’ex presidente proprio mentre la competizione per la nomina del Gop stava per iniziare, chiudendo così un’apertura per un’alternativa al tycoon.

Ora tocca all’ex governatrice della Carolina del Sud ed ex ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Nikki Haley, testare quanto sia in realtà ampia quell’apertura, presentandosi non come una Trump più di destra ma come un’alternativa “al caos prodotto da Trump”.

Al momento Haley sembra festeggiare: “Lo sentite questo suono? – ha detto salendo sul palco del suo comizio in New Hampshire, poche ore dopo il ritiro di De Santis – è il suono di una sfida a due”.

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Per gli elettori repubblicani fermare i migranti al confine è la priorità assoluta. Lo scontro diretto fra Texas e Washington su questo tema è sintomatico della spaccatura profonda che attraversa il paese su temi fondamentali (che ne hanno definito la storia moderna). Ce lo racconta il nostro corrispondente da Los Angeles, Luca Celada. In dialogo con Giovanna Branca