Trovarsi al Bellco Theatre del Colorado Convention Center di Denver, stipato fino all’esaurimento dei 5.000 posti per la quinta conferenza sugli psichedelici, può sembrare – specialmente a chi venga dall’Italia – un trip a tutti gli effetti. Arriviamo a Denver in delegazione a fine giugno per partecipare a Psychedelic Science 2023, organizzata da Maps Usa, e sancire la costituzione di Maps Italia, fondazione affiliata e indipendente che si prefigge anche in Italia di contribuire alla ricerca e alla decriminalizzazione delle sostanze psichedeliche. Lo stato del Colorado ha approvato coltivazione, uso personale e terapeutico di Psilocibina e altre sostanze (Ibogaina, Dmt, Mescalina) da alcuni mesi (la Proposition 122), rientrando in quella riforma delle politiche sulla droga avviata anche da Kentucky e Oregon. L’atmosfera nel palazzo è vibrante, il teatro gremito già un’ora prima dell’inizio dei tre giorni clou delle attività.

IN PROGRAMMA ci sono oltre trecento conferenzieri da ogni parte del mondo, per altrettanti talk e attività suddivisi in infinite sale, che si snodano attraverso tre enormi corridoi. 200.000 metri quadrati pieni di persone: adulti anziani e giovani in egual misura, famiglie con bambini, qualche personaggio pittoresco. Qui dibatte il gotha del “rinascimento psichedelico” (locuzione controversa e scandagliata in molti dei vari talk). Ci sono i medici e gli scienziati, i protagonisti degli studi che hanno costruito la letteratura scientifica degli ultimi sessant’anni riguardo a Lsd, Psilocibina, Ayahuasca, Ibogaina, Dmt, Mdma, Cannabis, Ketamina, (la Ketamina è depenalizzata e usata in molti stati americani) e i numerosi ricercatori, terapisti, attivisti, accompagnatori, malati, filantropi; le fondazioni, le associazioni, gli ospedali, cliniche, scuole, università, centri di recupero. C’è lo scienziato inglese Carhart-Harris (Ucsf), i decani Roland Griffin (John’s Hopkins University), Stanislav Grof (Grof Legacy), Amanda Feilding (Bekeley Institute), l’etnobotanico Dennis McKenna, James Fadiman. Ci sono i capi religiosi delle popolazioni che praticano le cerimonie con le “loro” piante sacre (Leopardo Yawa Bane degli Huni Kuin e il Chief Nixiwaka degli Yawanawa). Poi i giornalisti, gli scrittori, i comici e i registi, i documentaristi e gli ex soldati, e alcuni campioni della narrativa popolare come Michael Pollan o il micologo-star Paul Stamet. C’è una app per gestire il proprio calendario che contiene la totalità degli eventi, anche le feste e i concerti. La precedente conferenza si era tenuta ad Oakland nel 2017 e c’erano 5.000 persone: a Denver si sono contati oltre 13.000 ingressi.

MAPS (Multidisciplinary Association for psychedelic Studies) è stata fondata nel 1985 da Rick Doblin, ebreo chicagoano che fin dalla giovinezza si dedica con determinazione alla causa, riconoscendo negli psichedelici le capacità di cura, riduzione dello stress (il famigerato stress post-traumatico che affligge i veterani, creando disagio diffuso e un numero esorbitante di suicidi) e gestione delle malattie mentali contemporanee: depressione, dipendenze, ansia, disturbi alimentari. Maps promuove anche la ricerca sulla pratica psichedelica come un’occasione di riformulazione collettiva dei processi sociali e politici. In uno dei talk, per esempio, si sono esposti i positivi risultati di un workshop di terapia assistita con Mdma tra cittadini israeliani e palestinesi nati e vissuti in territori di conflitto.

L’APERTURA della conferenza è corale, varie membri del board si avvicendano al microfono prima che arrivi sul palco Rick Doblin, in total-white. «Am I tripping?» Sono in un trip? – sono le sue prime parole – «I don’t believe that», «it’s that culture is tipping »: un gioco di parole per dire che è la cultura che sta evidentemente cambiando direzione. La platea lo sommerge con la standing ovation, mentre prosegue parlando della «vasta trasformazione della coscienza ormai necessaria per la sopravvivenza e l’evoluzione dell’umanità». Da un’associazione filantropica di pochi, Doblin ha trasformato Maps in una forza capace di sensibilizzare i gruppi di potere e le amministrazioni fino ad agire sulla legge e la politica, con un approccio proattivo e magico, che attinge tanto dalla visione psichedelica quanto dal mito dell’american dream: American Psychedelic Dream.

Il trip del Bellco Theatre prosegue quando sale sul palco Rick Perry, ex governatore repubblicano dello stato del Texas, vero showman, che dichiara amore per l’altro “Rick” (Doblin) seppur da una posizione politica diametralmente opposta: sono i risultati positivi della terapie sui veterani afflitti da Ptsd ad aver spianato la strada del consenso bipartisan. Subito dopo, il governatore democratico del Colorado, Jared Polis, parla di libertà dei corpi e diritto alla cura. «In molti ambiti, compresa la Cannabis, la strada da seguire è stata indicata dal popolo, e non dalla politica» – dice, e introduce il tema che più volte sarà percorso nella conferenza: la scommessa del mondo occidentale è la sinergia tra nuove tecnologie (anche in ambiti sanitari) e conoscenze ancestrali.

VAL LA PENA ricordare che in quegli stessi giorni, in Italia, Meloni preparava la giornata contro la Droga, mistificando la data del 26 giugno, giornata indetta globalmente per porre in realtà l’attenzione sulle problematiche della gestione dell’abuso e sul traffico illecito della suddetta “droga”. Negli Usa, dove drugs è anche sinonimo di farmaco, quattro stati hanno già depenalizzato l’uso personale e quello terapeutico della Cannabis, mentre Mdma e Psilocibina sono alla fine del percorso di approvazione (fase 3) della Fda.

AL PIANO SUPERIORE del Denver Congress Centre c’è una vera e propria fiera della terapia psichedelica. Ci sono stand delle maggiori organizzazioni mondiali, Iceers, TheraPsil, Erowid, BrainFuture, e tanto business: centri terapici, coltivatori di funghi, associazioni, cliniche private, le Mushroom Mums, il Ketamine Institute, gadgets a non finire. «The Future is Ancestral» recita lo slogan da t-shirt dello Chacruna Insitute, e lo ripete anche Paul Stamet, tra molte altre cose sui funghi e il microdosing, nella conferenza del secondo giorno. Ai piani inferiori c’è una sala per le proiezioni, una per la meditazione, una per il silenzio e una per il ristoro dei cani, i numerosi therapy dogs che si vedono in giro accompagnare gli umani loro assistiti, col guinzaglio rosso. Ogni giorno sessioni di Yoga, meditazioni guidate, massaggi, e uno spazio, il Deep Space, dedicato all’arte e alla musica, che sembra un mini Burning Man da interno.

A fronte di tanto entusiasmo emergono chiare criticità: le più macroscopiche sono i pericoli della mercificazione delle nuove terapie, e le modalità della loro introduzione nei sistemi sanitari, dibattuta in molte delle presentazioni. È l’ineludibile questione del set e setting, soggetto e contesto, che si tiene con quella più vasta dei pericoli dell’appropriazione culturale. L’argomento si ripresenta nella contestazione finale, quando un piccolo gruppo di attivisti fa irruzione in platea cercando di porre l’attenzione sulla necessità dell’inclusione. Inclusione evocata da molti, che – viene da pensare – non può certo risolversi nella creazione di esotici “outlet” dell’esperienza e del setting. Le insidie del nuovo colonialismo sono molte, ma la strada del rispetto, della cura e della solidarietà, della compassione e della reciproca accoglienza, a Denver l’abbiamo vista.