Internazionale

Dentro un altro: Orlov condannato a due anni e mezzo

Oleg Orlov in tribunale (foto Ap)Oleg Orlov in tribunale – Ap

Russia Il noto attivista e co-presidente della ong Memorial, premio Nobel per la Pace, era accusato di aver diffamato le forze armate per le sue critiche all'invasione dell'Ucraina

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 28 febbraio 2024

Avanti, anzi dentro, un altro: nella Russia di Putin continua lo stillicidio di oppositori politici, intellettuali scomodi e dissidenti spediti in carcere solo per aver espresso opinioni. Ieri è stata la volta di Oleg Orlov, copresidente del centro per i diritti umani Memorial (ong già dichiarata «agente straniero» nel 2015, sciolta dalle autorità di Mosca a novembre 2021 e vincitrice del Nobel per la Pace nel 2022), condannato a due anni e sei mesi di reclusione per aver «leso ripetutamente la reputazione» delle forze armate del paese.

L’attivista settantenne, di professione biologo, aveva scritto un articolo due anni fa in cui esprimeva la propria contrarietà alla guerra in Ucraina e denunciava il lento scivolare della Russia verso il «fascismo». A ottobre delle scorso anno, gli era stato inflitto il pagamento di una multa di 150mila rubli (circa 1.500 euro) ma il verdetto fu poi annullato e rinviato al pubblico ministero, che trovò alcune aggravanti.

Così, a febbraio di quest’anno, nuove udienze fino alla condanna di ieri presso il tribunale Golovinskyj di Mosca. «Sono anelli di un’unica catena – ha detto Orlov nel suo discorso di fronte ai giudici, alla presenza della moglie Tatjana e di una piccola folla che si è riunita fuori dall’edificio in solidarietà – La morte, o più precisamente, l’omicidio di Alexey Navalny, le rappresaglie giudiziarie contro altri critici del regime, compreso me, lo strangolamento della libertà nel paese, l’invasione delle truppe russe in Ucraina».

Similmente, la sua condanna suona come tragica ma logica conseguenza del rigore con cui Orlov si è speso per la difesa dei diritti umani per buona parte della sua vita: dalla promozione delle attività del sindacato polacco Solidarnosc alle proteste contro l’intervento sovietico in Afghanistan, fino all’impegno in zone di conflitto come la Cecenia (dove ha facilitato scambi di ostaggi). «Non ho nulla di cui rimpiangere o pentirmi», ha ripetuto prima di finire in manette.

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