Andrea Gullotta, presidente di Memorial Italia, un Nobel per la Pace all’attivista bielorusso Bialiatski, a Memorial che da trent’anni lavora sui diritti umani violati nell’ex Urss e in Russia, e all’organizzazione ucraina per i diritti Center for Civil Liberties può essere un passo concreto verso la pace in Ucraina o rischia di rimanere solo un premio al merito?

Ce lo stiamo chiedendo tutti. Premesso che se la pace verrà o no dipenderà soltanto da quello che succederà in campo militare, perché non mi sembra vi siano segnali che facciano sperare in un passo indietro da parte della Russia, il riconoscimento a queste tre entità secondo me sta a sottolineare che la società civile è importante. Una società civile che in queste zone, per motivi diversi, è stata martoriata. Chiaramente sono storie diverse, quelle di Memorial, di Bialiatski e del Centro per i diritti civili, ma credo che il messaggio sia che la soluzione non sta tanto nella politica quanto nella società civile. Memorial da anni si occupa dei diritti umani ma si impegna molto anche nell’educazione civile: oltre ai progetti di ricerca, faceva progetti nelle scuole, mostre, etc, cercando di diffondere un’idea democratica del sapere e dell’accesso ai dati. Mentre invece lo Stato russo nasconde i dati, con i suoi archivi segreti. Quindi Memorial è sempre stata un faro di democrazia, che purtroppo però per molti motivi estremamente complessi non è riuscita ad attecchire nel Paese. E così Memorial si è ritrovata in un angolo, sotto il pugno del potere statale. Questa assegnazione di per sé suggerisce un’idea di una comunità che può rinascere sulle macerie di quello che sta succedendo solamente tramite la società civile.

Senza voler ridurre troppo la complessità delle cose, può però provare a spiegare perché l’anelito democratico non si è sviluppato a sufficienza nella società civile russa? Perché Memorial si è trovata all’angolo? Quanto ha influito la questione economica in un territorio vasto e complesso come quello russo?

Molti studiosi si sono interrogati sulla famosa teoria secondo la quale la Russia possa essere gestita soltanto da una dittatura, da un potere autocratico. In realtà c’è anche una congiuntura storica molto sfavorevole: quando la Russia ha avuto l’unica occasione per affermare uno sviluppo democratico, è stata investita nel giro di dieci anni da una serie di catastrofi geopolitiche: dal crollo dell’Urss, alla guerra in Cecenia, il crollo del rublo, le crisi costituzionali… In sostanza, la democrazia in Russia non ha attecchito perché per i russi fondamentalmente essa rappresenta l’emblema di un periodo nero dal punto di vista economico, durante il quale c’erano disordini ovunque, guerre, e c’era quel senso di “umiliazione” mondiale per essersi trasformati da una super potenza a un Paese calpestato. La questione economica naturalmente è centrale nel non-sviluppo della democrazia: Putin ha avuto successo perché ha rimesso in piedi l’economia e ha dato una dimensione dignitosa alla vita delle singole persone. Io però non condivido la tesi secondo cui la Russia sia troppo grande per essere gestita democraticamente. Per esempio, anche gli Stati uniti sono un Paese grande e complesso ma non mi sembra che abbiano avuto bisogno di una dittatura sanguinaria per essere gestiti. Però è vero che adesso la Russia viene da secoli di potere autocratico e in questo momento si stanno creando ferite, divisioni, traumi, cataclismi, chiamiamoli così, che avranno ricadute per moltissimi anni. Sarà molto difficile ricostruire. L’unica speranza è che semmai dovesse esserci un’altra finestra in cui si potrà di nuovo provare a creare un percorso democratico in Russia, questi premi Nobel a Dmitry Muratov l’anno scorso e quest’anno a Memorial potranno forse mettere queste persone e idee un po’ più al centro della scena politica. Quando è crollata l’Urss, a parte Sacharov che purtroppo è morto subito, gli altri grandi rappresentanti di Memorial non hanno fatto una carriera politica e non hanno potuto incidere sui destini del Paese.

Memorial è stata sciolta definitivamente a fine 2021 e molti suoi dirigenti sono stati incarcerati o uccisi.

In realtà è stata decapitata, sono state sciolte le due organizzazioni principali della rete: Memorial international, che in questo momento è sotto processo e rischia di perdere i suoi preziosi archivi, e il Centro per i diritti umani. Rimangono una serie di piccole diramazioni dell’organizzazione, troppo piccole però.

Se perde l’archivio cosa perde?

Per Memorial, nata nel 1991, una delle questioni principali è l’accesso democratico alla conoscenza e al sapere. Questi archivi sono aperti a tutti. Sono stati creati spontaneamente dalle vittime dei Gulag e della repressione staliniana, e dai loro eredi che hanno portato documenti tratti dagli archivi ormai chiusi. Quindi Memorial perde senz’altro un asset ma la Russia perde tantissimo, una parte del suo passato. Che non è solo testimonianza: il Centro dei diritti umani è stato fondamentale durante la guerra di Cecenia nel supporto ai ceceni e alle famiglie russe che non avevano notizie dei loro soldati. È per questo lavoro che Natal’ja Estemirova è stata uccisa nel 2009. Oggi, in Ucraina gli attivisti non possono andare, ma in questi mesi Memorial ha fatto un grande lavoro con i dissidenti e gli oppositori alla guerra. Ed ecco che proprio adesso, pochi minuti fa, è arrivata la notizia che il tribunale di Tverskoi, alla fine di una seduta durata tutta la giornata, ha confiscato la sede storica di Memorial international a Mosca, e parte dei suoi conti.

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