Delitto e castigo fra i sette di Penza
L'ultima Una storia maledetta di amore e anarchia, la politica si intreccia al narcotraffico. A indagare una redazione della sinistra più radicale. Perché la verità è rivoluzionaria. Anche la più terribile
È una storia tragica, sbagliata, ignobile. Solo qualche giorno fa abbiamo narrato come nella Russia del 2020 un gruppo di anarchici e antifascisti (la cosiddetta Rete, Set in russo) possano essere condannati pesantemente per una montatura che li accusava di aver organizzato una cellula terrorista nel 2015.
Ora siamo qui a raccontare l’altra faccia della luna, il lato oscuro di questa vicenda che ricorda da vicino le pagine più struggenti de I Demoni di Dostoevskij. Una vicenda che mette in seria difficoltà chi si batte in Russia contro le ingiustizie e i soprusi che troppo spesso caratterizzano l’azione della polizia e della magistratura.
DUE GIORNI FA IL PORTALE Meduza, che si era schierato a difesa degli attivisti condannati, ha pubblicato un reportage shock che ha scosso fin dalle fondamenta il mondo radicale e la società civile del paese. Secondo i giornalisti di Meduza alcuni dei membri della Rete anarco-antifascista di Penza nel 2017, mentre erano latitanti, uccisero due giovanissimi simpatizzanti dell’aggregazione che volevano tornare a casa.
NELL’APRILE DEL 2017 Dmitry Pchelintsev, Maxim Ivankin e Mikhail Kulkov, membri della Rete, erano entrati in clandestinità perché oltre a essere ricercati per motivi politici, da tempo si dedicavano allo spaccio di stupefacenti. Nella fuga sono seguiti da Artyom Dorofeev ed Ekaterina (Katya) Levchenko sui quali però non pendeva alcuna accusa. Artem allora ha 21 anni, Katya due di meno. Sono fidanzati da un paio di anni e insieme hanno iniziato ad interessarsi di ecologia, del pensiero di Marx e Kropoktin, a gironzolare nei gruppi dell’estrema sinistra di Penza e poi a frequentare la Rete. Aiutando anche i loro amici a spacciare stupefacenti. La loro scomparsa inquieta i genitori. Ma la ragazza dopo qualche giorno si fa sentire dalla madre e la tranquillizza: «Sono via per qualche giorno, per ora non posso rientrare», dice da un numero di telefono sconosciuto. Durante la stagione delle piogge, la gente non si avventura nella foresta di Chernoye Ozero (Lago nero), nella regione di Ryazan. Così solo nel novembre 2017, quasi otto mesi dopo la scomparsa di Tanya e Artyom, un cacciatore trova dei resti umani nei boschi intorno al lago. La prova del Dna conferma che si tratta del corpo di Artyom Dorofeev. Tuttavia, stranamente, la polizia e l’Fsb, i servizi russi, non mettono in connessione i casi malgrado prima di entrare in clandestinità Artyom vivesse nello stesso appartamento di Mikhail Kulkov.
GLI INVESTIGATORI CERCANO però il corpo di Katya nella zona e non trovano nulla. Meduza è convinta che l’Fsb a questo punto sappia cosa sia successo. Si preferisce però che il “caso Set” prosegua sui binari dell’organizzazione terroristica in procinto di realizzare attentati durante i mondiali del 2018.
I TRE DEL GRUPPO NEL FRATTEMPO sono arrestati. Ma un quarto, anche lui per qualche tempo nascosto nella foresta di Ryazan, riesce a sfuggire alla cattura e a scappare in Ucraina: si chiama Alexey Poltavets e secondo chi lo frequenta oggi «soffre di stress post-traumatico e ha tentato il suicidio due volte». La redazione di Meduza solo qualche giorno fa è riuscita a contattarlo. E lui ha vuotato il sacco. Poltavets ha confessato di essere stato coinvolto nell’omicidio di Artyom e Katya. Poltavets afferma che «Artyom e Katya avevano deciso di tornare a casa. Pchelintsev e i suoi amici si opposero fermamente a questa ipotesi preoccupati che i due testimoniassero dello spaccio di droga del gruppo». Alla fine di aprile 2017 Ivankin avrebbe detto a Poltavets che Pchelintsev aveva annunciato una «decisione collettiva» per neutralizzare i due. Ad Artyom e Katya viene proposto di incontrarsi vicino al villaggio di Lopukhi con il pretesto di trasferirsi in un nuovo nascondiglio. «Ad Artyom fu sparato un colpo al volto a bruciapelo con un fucile Saiga calibro 12. Tuttavia Artyom non morì e allora Ivankin gli tagliò la carotide con un coltello. Ho odiato me stesso e i miei compagni e sono fuggito alla prima occasione» afferma Poltavets. Secondo lui Katya fu uccisa poco più in là.
DOPO QUESTO SCOOP la procura russa ha aperto un fascicolo sulla morte dei due ragazzi. Ma è sul web che si è scatenata la baraonda. Il gruppo Avtonom, tra i più radicali della galassia dell’estrema sinistra russa, sul suo sito accusa Medusa «di portare acqua allo Stato e ai servizi segreti» affermando che molti aspetti del reportage siano poco chiari. Ma qualche ora dopo Russpression, il gruppo più impegnato nella difesa dei «7 di Penza» conferma la versione di Meduza. «Abbiamo iniziato a raccogliere informazioni sugli eventi che hanno avuto luogo con la scomparsa di Artyom e Tanya e siamo giunti ad avere una versione dei fatti simile a quella di Meduza», viene scritto sul portale dell’associazione. Russpression afferma di non aver diffuso la notizia non essendo completamente certa di quanto avvenuto. Il sito anarchico A2day.net conferma il quadro descritto dal Meduza affermando però che i membri della Rete di altre città non erano a conoscenza della degenerazione in gang mafiosa del gruppo di Penza. E ricorda che già nell’autunno del 2019 Arman Sagynbayev, uno dei 7 di Penza è stato accusato da alcune donne dell’area antagonista di stupro, sadismo e violenze psicologiche. Sagynbayev, positivo alla Hiv, avrebbe anche avuto relazioni sessuali non protette con delle minorenni.
SARÀ ORA LA MAGISTRATURA, si spera, a ricostruire quello che successe nei boschi di Ryazan nell’aprile 2017. Ma forse, anche a sinistra, non si dovrebbe mai dimenticare che solo la «verità è rivoluzionaria». Anche la più terribile e schifosa.
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