Def in arrivo, ma sulle cifre resta la distanza tra governo e partiti
Oggi pomeriggio, ore 15.30, il governo scoprirà le carte e presenterà in cabina di regia le cifre del Def. Subito dopo dovrebbe riunirsi il consiglio dei ministri per il varo ufficiale ma non è detto che ci riesca e non s’imponga uno slittamento: perché tra la tolda di comando Draghi-Franco e i partiti della maggioranza la distanza ieri sera era ancora ampia. Il nodo riguarda le risorse da mettere in campo per il nuovo decreto a sostegno di famiglie e imprese colpite non solo dalla crisi energetica, molto aggravata dalla guerra, ma anche dall’inflazione conseguente alla crisi, che è del 7% ma solo se considerata su base annua, altrimenti sta già alle due cifre.
Quei soldi però non ci sono. Il Def dovrebbe fissare il Pil al 2,8%, salvo possibili modifiche all’ultimo momento. Sono quasi 2 punti in meno rispetto al 4,7% sin qui previsto. Il deficit tuttavia, grazie ai risultati superbi della ripresa dell’anno scorso, resterebbe al 5,6% e il governo è deciso a mantenere l’impegno preso con la Ue di mantenere il debito al 150% del Pil e anzi, se possibile, di abbassarlo lievemente. Un piccolo scostamento di bilancio, circa 8-10 miliardi, dovrebbe essere comunque necessario per arrivare, sommandolo ai 15 miliardi di entrate fiscali del 2021, a una dote complessiva di 25 miliardi. Ma quella dote è già quasi tutta ipotecata: dovrà coprire le spese degli ultimi due decreti energie e i fondi Mef già bloccati. Resterebbero tra i 4 e i 5 miliardi da impiegare per il prossimo dl. Andranno, anticipa la sottosegretaria al Mef Cecilia Guerra, «alle imprese più colpite dalla carenza di materie prime, non solo dell’energia, come la ceramica e alle fasce più deboli». Ma è una cifra molto al di sotto di quel che chiedono le forze politiche.
Di solito quando si parla di tensioni tra palazzo Chigi e i partiti non s’include nel novero il Pd, che dell’intesa perfetta con Draghi ha fatto una bandiera. Stavolta le cose sono diverse. E’ il Pd stesso, con una nota del responsabile dell’Economia Misiani, a chiedere un intervento ben più corposo di quanto abbiano in mente premier e ministro: «Entro aprile noi riteniamo che debba essere fatta una manovra economica infra annuale, mettendo in campo le risorse necessarie per prorogare oltre giugno le misure decise in questi mesi. La crisi energetica non finirà a breve. E’ quindi necessario mettere in campo nuove misure».
Misiani non chiede esplicitamente lo scostamento di bilancio, come fa invece il M5S. Si limita a dire che «non lo si può escludere» ove fosse necessario non solo per prorogare i sostegni varati con i dl precedenti ma anche per mettere in campo nuove formule di aiuto, come stanno già facendo altri Paesi europei. Anche se il Pd non quantifica sarebbero necessari almeno una quindicina di miliardi, forse di più. Uno scostamento massiccio sarebbe dunque inevitabile.
Draghi però resiste. La sua strategia è molto diversa. Pensa a un intervento molto contenuto e tale da non incidere sensibilmente sui conti pubblici ora per poi reclamare un articolato intervento europeo: il varo di un Energy Fund simile se non identico al Recovery adoperato contro il Covid su un fronte, l’apposizione del tetto sul prezzo del gas da un altro, e infine garanzie sulla gestione morbida del debito da parte della Bce.
E’ una strategia non certo priva di fondamenti, ma che si scontra con due limiti enormi. Il primo è la tempistica: contro il Covid l’Europa, fatto salvo uno sbandamento iniziale, non fu solo efficace ma anche rapida. Stavolta, data la differenza tra le condizioni dei diversi Paesi quanto a rifornimenti energetici, tutto procede molto più lentamente. Gli aumenti dei prezzi e delle bollette però non permettono né alle famiglie né alle imprese a rischio di chiusura di attendere i tempi dell’accordo europeo. Per questo i partiti tutti insistono per l’intervento immediato.
Il secondo problema è l’offensiva dei 5S, che non si limitano al fronte sostegni: insistono per stanziamenti cospicui a favore della sanità e del salario minimo e chiedono di contrastare i rincari con un taglio dell’Iva finanziato aumentando la tassa oggi del 10% sugli extraprofitti. Gli estremi per un confronto più duro di quello sulle spese militari della settimana scorsa ci sono tutti.
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