Visioni

Declino della democrazia, un futuro appena dietro l’angolo

Declino della democrazia, un futuro appena dietro l’angoloUna scena da "2073" di Asif Kapadia

Venezia 81 Presentato fuori concorso "2073" di Asif Kapadia. Un appello per fermare il (tecno) fascismo che arriva

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 4 settembre 2024

Nel 2073, a Neo San Francisco capitale delle Americhe, la residua umanità vagabonda e off-grid (fuori dalla Rete) si ripara in un centro commerciale abbandonato. Di notte, in giro alla ricerca di cibo e cose, le guardie setacciano le strade coi loro visori. Quelli che non sono riconosciuti vengono arrestati e sottoposti a un programma di rieducazione: un occhio automatico, una voce orwelliana che ti chiede quando fa 2+2, naturalmente. Gli spettatori che resteranno oltre i titoli di coda potranno sottoporsi, se vogliono, all’interrogatorio completo. Seguiamo l’attrice inglese Samantha Morton (Minority Report) infagottata nei panni di uno di questi fantasmi. Tra le mani ha la cosa più preziosa che possiede: un autobiografia di Malcolm X trovata nella spazzatura, La sua voce fuori campo ci guida nell’esplorazione di questo mondo tra Fuga da New York e Blade Runner. Il direttore della fotografia Bradford Young è lo stesso di Arrival e Solo. L’altro riferimento davvero cinefilo è il foto-romanzo di fantascienza La jetee di Chris Marker, 1962, reietti nei sotterranei di Parigi postatomica, immagini fisse e voce fuori campo, cult assoluto della nouvelle vague.

LA COSA SORPRENDENTE del nuovo lavoro di Asif Kapadia, documentarista di lusso alto budget repertori pazzeschi, autore di lavori su Maradona, Senna, Federer, Amy Winehouse, è questa: tra i cattivi che hanno ridotto il mondo nello stato in cui si trova riconosciamo bene in flashback i nostri Berlusconi (seguito da immagini generiche di neofascisti in parata) e Giorgia Meloni nella versione smorfie truci (non quella soft che l’altra sera stava su Rete4). Tra un Bolsonaro, un Trump e un Putin, Elon Musk, Zuckerberg e Jeff Bezos. Troppa grazia ma non è una parodia, nel montaggio da 100 immagini al minuto che ricostruisce nelle intenzioni del regista la parte saggistica: il declino della democrazia nel mondo e il ruolo delle big tech raccontato da giornalisti e giornaliste di inchiesta come la filippina Marta Ressa o l’Indiana Rana Ayyub, sottoposte allo stesso taglia e cuci, l’impaginazione sbrilluccicante dei moderni doc di spettacolo.

IL LAVORO su 2073  è iniziato una decina d’anni fa quando Kapadia, inglese di famiglia indiana, ha assistito alla mutazione delle tv e del dibattito pubblico ai tempi della Brexit. Lo stesso sdoganamento (diremmo noi, che per questo abbiamo Rete4) di razzismo e fascismo quotidiani incontrato contemporaneamente negli Usa ai tempi di Trump e nel Brasile di Bolsonaro, seguendo intanto i suoi altri progetti: «Ho lavorato in Brasile – ha ricordato – con una troupe di ragazzi giovani che dicevano c’è troppo crimine, abbiamo bisogno di un uomo forte che li ammazzi tutti. E mi sono chiesto: che sta succedendo?». Questo sincronismo l’ha convinto a cominciare. Durante il lockdown intervista decine di giornalisti e giornaliste d’inchiesta internazionali: «Sono loro i nuovi eroi – ci dice in conferenza stampa – non i tennisti e calciatori».
Che sta succedendo? Chiediamocelo anche noi se uno che ha montato le immagini sublimi del giovane Maradona e di Federer, regista 50enne amato e premiatissimo, decide che è arrivato il momento di usare lo stesso linguaggio per denunciare i capi del mondo a cominciare da quell’Elon Musk che già interviene sul suo X a tutto campo e premierà a breve, lo abbiamo letto, Giorgia Meloni come donna dell’anno. Neppure la presenza del capo di Amazon Jeff Bezos, può migliorare la situazione di Kapadia e la sua carriera.

POLITICAMENTE facilone forse ma di grande effetto, una specie di Mondo Fascio, alla maniera dei vecchi mondo cane, rabbioso e torrenziale al punto di chiudere su un pugno chiuso e un appello a fermare il (tecno) fascismo che arriva, ma comunque non più facilone di quello che si può leggere ogni secondo sui social, “un pugno nello stomaco” questa l’espressione usata dal regista durante la presentazione fuori concorso ieri alla Mostra, 2073 vive esattamente nella frizione continua tra il genere fantascientifico distopico, la confusione tra immagini vere ricavate da archivi di ogni dove (Gaza, Black Live Matter, migranti in mare, terremoti, guerre) e ricostruzione fiction con la sensazione di cogliere in una sola illuminazione lo stato del mondo in cui viviamo: il passato che ci ha portato fin lì e il futuro che ci aspetta. Cos’altro è il montaggio nel cinema, di fronte alla frammentazione dei social, se non questa (grande) illusione?

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