Davide, morire a sedici anni
L'omicidio di Davide Bifolco Tre ragazzi su uno scooter senza assicurazione, una volante li insegue sulle tracce di un latitante. Li Sperona, cadono. Al più piccolo una pallottola al petto. Una «morte sbagliata» al Rione Traiano
L'omicidio di Davide Bifolco Tre ragazzi su uno scooter senza assicurazione, una volante li insegue sulle tracce di un latitante. Li Sperona, cadono. Al più piccolo una pallottola al petto. Una «morte sbagliata» al Rione Traiano
È una sera estiva come tante, davanti a una delle palazzine tutte uguali del Rione Traiano. Nella periferia occidentale di Napoli si incontrano tre ragazzi: Vincenzo, Salvatore e Davide. Il primo ha ventidue anni e una bambina. Il secondo diciotto. Davide invece di anni ne ha sedici, gioca bene a pallone e tifa per la Roma, cosa strana per un napoletano. I tre fanno la spola tra la piazzetta, il pub e le case dei loro amici. Dall’altra parte del Rione, dopo essere stato notato da una pattuglia, c’è un altro giovane che scappa su un motorino. È Arturo Equabile, poco più che ventenne; non è la prima volta che viola gli arresti domiciliari a cui è soggetto per aver partecipato ad alcuni furti in appartamento. I carabinieri del Rione, però, non riescono mai ad acciuffarlo. Dopo una rocambolesca fuga, anche quella sera Equabile li semina. Quando gli agenti incrociano un secondo motorino, credono di riconoscere il fuggitivo. Su quell’Sh, invece, ci sono Vincenzo, Salvatore e Davide Bifolco.
«QUESTI SONO ARMATI!», urla il carabiniere Macchiarolo al collega Del Vecchio, credendo di vedere una pistola. Sul mezzo però non ci sono armi, così come non esiste il «posto di blocco forzato dal motorino» di cui parleranno i giornali, lasciando spesso intendere che Davide, in fondo, il suo tragico destino se l’è cercato. C’è, piuttosto, un inseguimento e un «alt!» intimato a voce: i carabinieri inseguono e i ragazzi scappano, l’Sh di Salvatore ha l’assicurazione scaduta; hanno paura di un sequestro e di una multa, e scappano. La pattuglia riesce a raggiungere il motorino e lo sperona, facendo cadere i ragazzi. Nei pressi del luogo dell’impatto ci sono tre amici, Nunzia, Susy e Giovanni, fermi a chiacchierare. Arturo Equabile è a casa, o il diavolo sa dove.
VINCENZO, CHE GUIDAVA il motorino, riesce a scappa, inseguito da Del Vecchio. Nunzia, Susy, Giovanni e un altro gruppetto di ragazzi si avvicinano all’incidente. Questi ultimi però scappano quando sentono un colpo di pistola. A sparare è stato l’appuntato Macchiarolo e ha ucciso Davide, colpendolo al petto mentre prova a rialzarsi sulle ginocchia. In sede investigativa e giudiziaria, il carabiniere affermerà che il colpo gli è partito accidentalmente, inciampando mentre cercava di immobilizzare Salvatore. Il ragazzo però afferma di non aver provato a scappare: «Il motorino era mio, mi sarebbero comunque venuti a prendere a casa». Dice di essere rimasto a terra e di aver visto Macchiarolo puntare la pistola verso Davide, sparando subito dopo essere sceso dalla vettura, senza essere caduto o inciampato. Anche Nunzia dice di aver visto il carabiniere sparare con la pistola puntata e Giovanni di averlo visto sparare «tra la vettura e lo sportello», lontano dal marciapiede. «Giovanni mi ha detto: ‘Guarda, il carabiniere sta prendendo il bossolo’», spiegherà invece Susy ai giudici. Il bossolo del proiettile che ha ucciso Bifolco non sarà in effetti mai ritrovato, ma a Giovanni Festinese, di questa storia, non è mai stato chiesto conto.
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Storie e parole di libertà che vengono dal carcereDOPO AVER PERSO LE TRACCE di Vincenzo, Del Vecchio rientra sul posto. Trova Salvatore a terra, ammanettato, e Davide, sempre a terra, immobile. Macchiarolo sta chiamando un’ambulanza. Nel frattempo si è sparsa la voce che un carabiniere ha sparato a qualcuno e la gente comincia a scendere in strada. C’è anche Flora, la mamma di Davide, che quando lo vede prende la testa di suo figlio tra le mani e trova la forza per dire, due volte: «Che gli avete fatto?». Poi sviene.
QUANDO ARRIVA l’ambulanza Davide è a terra, con un foro in petto. Il proiettile ha attraversato il torace all’altezza del cuore, ma gli infermieri e il medico non ritengono di dover chiederne conto. Nonostante uno di loro affermi che il ragazzo «non dava segni di vita di alcun tipo», nessuno dice di essersi accorto di avere davanti un adolescente sparato al petto. Alle 2 e 20 il corpo di Davide viene portato via con una certa fretta, una condotta che impedisce le operazioni di sagomatura del cadavere e la recinzione dell’area, circostanze che renderanno difficilissime le indagini tecniche.
Nel corso dei giorni, dei mesi, persino degli anni successivi, la stampa, la politica, la società civile hanno mostrato un atteggiamento sempre silente, o giudicante, e in fondo discriminante, nei confronti di un adolescente che era stato ucciso senza motivo da un carabiniere, in una delle tante zone della città dove il tasso di povertà, di disoccupazione, di emergenza abitativa, e l’abbandono da parte dello Stato sono quotidianità. Fin da pochi minuti dopo la sua morte, con i primi lanci della notizia, Davide ha pagato il pregiudizio che la città «per bene» riserva al Rione Traiano e ai suoi abitanti, considerati un’indistinta accozzaglia di delinquenti. Senza alcuna verifica, Davide è stato e talvolta tutt’ora viene descritto come un giovane criminale, se non come uno spacciatore o un latitante. Il risultato di questa accanita campagna d’odio, e il bombardamento mediatico basato su una quantità innumerevole di notizie false (per esempio la presenza di armi e droga nelle tasche dei ragazzi) hanno condizionato in maniera decisiva la percezione del caso da parte dell’opinione pubblica.
IL 7 APRILE 2015 Gianni Macchiarolo viene rinviato a giudizio per omicidio colposo. Il processo comincia due mesi dopo, con rito abbreviato, su richiesta della difesa, che rinuncia al dibattimento in cambio di uno sconto di un terzo della pena. Le indagini della procura, però, svolte dallo stesso corpo da cui proviene l’indagato, lasciano molte perplessità: per la genericità della perizia balistica, soprattutto, e per il mancato ascolto di testimoni importanti. La parte civile chiede così un’integrazione probatoria: sulla base di alcune testimonianze, ma anche di elementi tecnici, contesta che Macchiarolo possa essere inciampato. Come prova di questa tesi c’è anche la sincronizzazione tra gli audio delle volanti e il video di una telecamera di sorveglianza, che evidenzia come il carabiniere non avrebbe avuto il tempo, tra l’impatto e lo sparo, di percorrere lo spazio tra la volante e il marciapiede. Questa ricostruzione mette in discussione l’ipotesi dell’omicidio colposo, aprendo alla trasformazione in omicidio volontario. Il giudice accoglie l’istanza e ascolta carabinieri e consulente balistico, sembra essere orientato a chiedere ulteriori indagini, ma alla fine fissa l’ultima udienza per il 21 aprile 2016.
È L’ULTIMO ATTO del processo di primo grado, Macchiarolo viene condannato a 4 anni e 4 mesi, un anno in più rispetto alla richiesta del pm. Successivamente, dopo un concordato in appello, la pena viene ulteriormente ridotta a due anni con pena sospesa, ancora una volta senza che vi sia un dibattito processuale. Un esito che lascia a tutte le persone che hanno seguito questa storia una forte sensazione di ingiustizia, sebbene almeno tutte le false notizie e le infamie sul conto di Davide siano state ufficialmente smentite. Raccontare la sua storia è un modo per non dimenticarlo, e un piccolo contributo alla lotta perché di storie così non se ne ascoltino mai più.
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