Daniele Tamagni e quei dandies del Congo
Il catalogo della prima retrospettiva «Daniele Tamagni Style is Life» (Kehrer Verlag, testi in inglese e italiano), aperta a Milano a Palazzo Morando Costume Moda Immagine venerdì 9 febbraio, ha in copertina un sorridente Gentlemen of Bacongo orgogliosamente divertito, con bombetta rossa e giacca e pantaloni rosa confetto.
Questa immagine rappresenta bene lo sguardo acuto e sorridente (e comunque sempre rispettoso) del fotografo milanese scomparso nel 2017 a 42 anni, che ha sempre focalizzato il suo sguardo sui lati mai raccontati dei tanti mondi difficili che ha indagato. Alcuni suoi reportage – realizzati in sette anni – sono riusciti a unire il suo fotogiornalismo al mondo della moda e a quello della fotografia di strada, a volte chiamata sovversiva.
Sì, perché Daniele Tamagni aveva scelto di raccontare e indagare il valore sociale e politico di tutti quegli spazi dimenticati, che volevano essere visti, e che lui invece aveva scelto da subito di inquadrare nel suo obbiettivo. La curatrice Aïda Muluneh sottolinea che «Daniele ha intrapreso una missione per dimostrare quanto ricco sia il continente africano in termini di diversità e storie non ancora narrate. (…) Daniele si è deliberatamente concentrato su individui ai margini della società, su coloro che sfidano le norme, privilegiando l’affermazione di sé rispetto all’approvazione altrui, su coloro che aprono la strada ai loro viaggi unici. (…) Ha scelto narrazioni strettamente allineate al suo cuore e al suo percorso di vita». Le 90 fotografie – di cui alcune ancora inedite – offrono oggi una panoramica dei suoi molti lavori.
La moda, negli scatti di Tamagni, qui forse più che altrove, è importante per documentare le persone che affrontano una nuova identità con una nuova sicurezza. Gli scatti di Daniele raccontano al mondo che ci sono persone che vogliono presentarsi per affermare una propria unicità e sicurezza, mostrando indifferenza nei confronti dei cliché. L’importante per i soggetti raffigurati pare sia avere la certezza che qualcuno ti segue, ti ammira, forse ti invidia, ma soprattutto ascolta le tue parole e ti ritiene un esempio da seguire. Giacche e cravatte spesso coloratissime vengono sfoggiate con disinvolta noncuranza, cercando di essere sempre circondato da un’audience sempre più coinvolta dal tuo personaggio. E quindi c’è anche chi, con barba e capelli arruffati, in abito beige e pantaloni e cravatta rossi (con tanto di guanto bianco sulla mano sinistra), si siede e conquista molti giovani in maglietta e cappellino da baseball che lo guardano e ascoltano con ammirazione. A quei completi spesso colorati e luminosi, vengono abbinati anche calzini bianchi su cui impera orgogliosamente la scritta in rosso «Un prince au Congo». Giusto per confermare la propria posizione.
La moda riesce a dare al lavoro di Daniele Tamagni la capacità di leggere e raccontare la propria collocazione di una nuova identità sociale «potente», che questi Sapeur vogliono e riescono a conquistarsi. Il titolo di questo capitolo è profeticamente Elegance: an Art to interpret the world. Esatto: grazie a come ti vesti, riesci a inventare un microcosmo sociale in cui un nuovo senso di appartenenza sembra stare nell’armadio (!). Cura dei dettagli? sicuramente: scarpe di vernice, sportive, di cuoio. Ma sempre e comunque lucidate al loro massimo splendore. Occhiali seri, molto seri, bizzarri ma sempre originali per lasciare un marchio. Il tuo marchio di non essere uguali agli altri, ma comunque sempre di più. Si arriva alle competizioni serissime sul tavolo verde del biliardo, fino alle scene «metal» in Botswana, cominciata addirittura dalla band italiana di Ivo e Renato Sbrana nel ’69. Oggi la scena Metal è molto cambiata, conquistando notorietà mondiale, grazie anche a come e da chi è stata raccontata negli ultimi vent’anni.
Daniele non era stato certo il primo a raccontare la scena ‘afro-metal’, ma l’aveva gestita anche pensando a un progetto per ‘documentare l’universo di differenti gruppi musicali heavy metal’, seguendone tutti gli spostamenti’.
Vincitore di molti prestigiosi premi internazionali, dal «Canon Young Photographer Award» nel 2007 al «World Press Photo Award» nel 2011, i reportage di Tamagni documentano, in questa importante selezione di immagini, diversissime tendenze di stili e atteggiamenti. Ogni fotografia diventa una radiografia di una realtà che ci si dimentica spesso di approfondire.
Quello che Daniele ci racconta e presenta con i suoi tanti scatti, è un interrogativo a cui non sempre si riesce o si è disposti a rispondere. Ospite di un gruppo Heavy metal, creato dai nipoti di uno psicologo italiano (che aveva dato vita al principale ospedale per malati mentali del paese), Daniele aveva scelto di raccontare la vita di certi artisti marginali e anche un mondo «dark africano», senza più i colori accesi e «prepotenti» dei Sappeur. Anche con le foto del 2012 «Joburg Style Battle», la moda rappresenta il grado di appezzamento. La parte dedicata alla «Dakar Fashion week» – un altro angolo di mondo africano- si concentra sulla moda che si confronta con la bellezza di un mondo e una popolazione diverse, ma non meno affascinanti. L’ampia selezione dei suoi reportage, con cui ha documentato gli stili e le tendenze della moda, soprattutto quella di strada, testimoniano sempre lo sguardo mai critico di Daniele ma da attento lettore del mondo.
Queste immagini conservano in sé una testimonianza di valore politico, che a volte può anche risultare sovversivo. Innanzitutto, i sapeurs congolesi della «Sape» (Società degli animatori e delle persone eleganti), anche conosciuti come i «dandy» di Bacongo, quartiere di Brazzaville nella Repubblica del Congo, che fin dalle origini del movimento all’inizio del Novecento, avevano interpretato di nuovo lo stile dei colonizzatori francesi, esibendosi in performance in cui ostentazione, lusso e raffinatezza diventavano strumenti di resistenza culturale.
E poi i metallari del Botswana, un progetto del 2012, nel momento in cui il movimento afrometal era al suo culmine. Ospitato da un Gruppo heavy metal creato dai nipoti di uno psicologo italiano che aveva intrapreso la creazione del principale ospedale per malattie mentali nel paese, Daniele Tamagni ha fermato in immagini il «dark africano» per poi dedicare il proprio obiettivo anche sulle cholitas, lottatrici boliviane, che tentano di sfidare e cambiare la tradizionale divisione di ruoli di genere cercando una concreta emancipazione femminile con le loro gare di wrestling. Nell’ultima parte della mostra, sono esposti i lavori dei tre vincitori del Daniele Tamagni Grant creato dalla fondazione che, cercando di valorizzare l’eredità del fotografo milanese, vuole promuovere il proprio legame con l’Africa, creando aiuti per la formazione di fotografi emergenti in partnership con il Market Photo Workshop di Johannesburg in Sudafrica, che era stata fondata da David Goldblatt nel 1989, molto prima che l’apartheid fosse sconfitta concretamente.
ABBONAMENTI
Passa dalla parte del torto.
Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento