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Damian Lewis, «Billions» è l’America di Trump

Damian Lewis, «Billions» è l’America di Trump

Intervista L’attore, che interpreta il magnate Bobby Axelrod, racconta le nuove scommesse della terza stagione. In Italia dal 13 aprile su Sky Atlantic

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 8 aprile 2018
Luca CeladaNEW YORK

Giunge alla terza stagione (dal 13 aprile in Italia su Sky Atlantic) Billions, la serie Showtime di Brian Koppelman e David Levien ispirata al lavoro giornalistico di Andrew Ross Sorkin, cronista degli eccessi di Wall Street. Prosegue la sfida fra il magnate speculatore Bobby «Axe» Axelrod (Damian Lewis) e il procuratore distrettuale di New York Chuck Rhoades (Paul Giamatti) che cerca di istruire contro il suo impero finanziario un procedimento criminale. Un thriller ambientato nel crepuscolo capitalista dell’alta finanza in cui collusioni e connivenze fra politica, denaro e oligarchia formano un intreccio impenetrabile. E una serie squisitamente «trumpiana» come afferma Lewis, in cui si palesa «un’analisi critica della mascolinità, di un certo tipo di maschio al potere», come aggiunge Paul Giamatti, «che parla del potere maschile fuori controllo che vediamo in ogni sfera della vita presente ed in forme diverse in entrambi i protagonisti». A New York abbiamo incontrato Damian Lewis l’attore inglese già celebre per l’interpretazione in Homeland che da tre anni dà vita a uno dei più gustosi antieroi del piccolo schermo.

 

Cosa riserva la terza stagione appena iniziata?
Troviamo Bobby Axelrod che lotta per la propria carriera e per non essere arrestato, finora non l’avevamo mai visto in questa posizione. È sempre stato abituato a farla da padrone, ma pare che stavolta Chuck (Giamatti, ndr.) sia riuscito a metterlo davvero in scacco. Si va verso un processo e «Axe» rischia di finire in prigione sul serio. Come sapete però sia Chuck che Bobby sanno districarsi molto bene anche quando la loro situazione appare disperata, quindi dovremo aspettare per vedere come va a finire. Quello che posso dire è che ci sarà un gran colpo di scena verso la fine della stagione, una vera sorpresa. Per riassumere il senso di questa terza serie possiamo dire che gli «assassini» sono ovunque. Entrambi i protagonisti, Chuck e Bobby, sono oggetto di un cecchinaggio che proviene da molte direzioni.

 

Viene introdotto meglio il personaggio interpretato da Asia Kate Dillon…

Si è un brillante analista che controbilancia l’impulsività istintiva di Bobby Axelrod col genio matematico applicato al trading. Sono diversi e tutti e due a modo loro geniali, il personaggio di Asia, Taylor Mason rappresenta il trend nell’industria finanziaria verso l’analisi quantitativa e i sistemi computerizzati applicati al mercato. I cosiddetti «quants» sono matematici altamente specializzati che usano gli algoritmi per prevedere l’andamento dei titoli in borsa e quindi gestire investimenti basandosi interamente su equazioni matematiche. Sono molto preparati ma gli agenti «tradizionali» si sentono insidiati dai nuovi sistemi proprio come avviene in numerosi settori coi mutamenti imposti dalla tecnologia che minaccia di rendere obsoleti noi umani.

 

Di stretta attualità quindi?
Credo che questa stagione abbia compiuto una passo deciso per radicarsi nell’America di Trump, il pubblico cerca una relazione con la realtà. Era così con Homeland e lo è ancora. Al punto che sembrava davvero che su quel programma anticipassimo i titoli dei giornali. D’altronde abbiamo un Presidente alla casa Bianca che proviene esattamente da questo mondo. È un miliardario, magnate immobiliare, che è entrato in politica e arrivato al vertice. Ed è qualcuno che può apparentemente dire e fare qualunque cosa senza soffrirne le conseguenze, quindi quando dico «trumpiano» intendo che nella nostra storia ci sono personaggi dediti a ogni genere illeciti e convinti di farla franca, passando qualsiasi limite, dicendo qualsiasi cosa per contraddirsi subito dopo. Tutto questo per vincere «la partita» qualunque essa sia. E in fondo a cosa crede questo presidente? Ha valori, un’ideologia? Nessuno lo sa ma sembra anteporre se stesso a qualunque idea o ideale. Questo vale anche per i nostri protagonisti e per ogni personaggio principale della nostra storia: sono competitivi, ossessionati dalla vittoria, pronti a mettere da parte ogni principio per arrivare primi.

 

«Billions» è dunque una serie politica?
Non credo sia possibile fare un programma come il nostro senza adottare una posizione morale nei confronti di questi personaggi. La prima stagione era simile a un combattimento dei gladiatori: ciascuno dei personaggi operava nel proprio ambito come un boss, con totale impunità nello scontro diretto. Poi, gradualmente, nella seconda stagione, e ora nella terza, diventa sempre più evidente l’effetto corrosivo del potere e dei soldi e in questo nuovo appuntamento se ne accentuano ancora le conseguenze. Tutti i personaggi stentano a mantenere un centro morale, i loro cuori si restringono e si anneriscono progressivamente. Insomma emerge una parabola morale. In questo quadro Bobby Axelrod è il gangster della mitologia americana delle guardie e dei ladri che qui sono l’Fbi contro i banditi finanziari. E come dicevo, la terza stagione in particolare si ispira direttamente alle news del momento. A ben guardare sarà forse possibile intravedere in alcuni dei protagonisti un omologo da poco designato a occupare una carica nell’amministrazione Trump, o un socio d’affari di Axelrod che ricorderà molto da vicino qualcuno di cui si è recentemente parlato sui giornali.

 

Insomma qual è il punto di «Billions»?
Forse sta nella domanda centrale che si pone il procuratore: «Dovrebbe essere permesso che un solo individuo ammassi una tale ricchezza?». Credo che sia una buona domanda. E poi c’è una altra questione che riguarda l’era delle «scuse» in cui viviamo. In Inghilterra è stata introdotta da Tony Blair quando è passato il concetto che se si offrono sentite scuse tutto viene perdonato e si riparte da zero. Cosicché ora sembra di vivere in un mondo dove, per i potenti, non esistono conseguenze. Credo sia in parte la ragione che spiega la Brexit e Trump. Avevano assicurato che la globalizzazione avrebbe aiutato tutti mentre chiaramente c’è stata molta gente che ha detto,‘un attimo per me non funziona mica tanto bene. Mentre voialtri potenti continuate a vivere le vostre vite di ricchezza e privilegio’. Così ora ci troviamo con dei leader populisti e ovunque movimento nazionalisti che fanno appello agli istinti più primordiali. Viviamo una realtà che è una sorta di telenovela. Pure se non posso rivelare come andrà finire, posso anticipare che anche per i nostri personaggi cominciano a profilarsi le conseguenze delle loro azioni; il tono si incupisce sensibilmente. Credo che per molti di loro arriveranno le punizioni che si meritano.

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