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Dall’incontro con Meloni un segnale per le riforme

Dall’incontro con Meloni un segnale per le riformeCarlo Calenda – Ansa

La "contro-manovra" Dal pacchetto potrebbero saltare fuori uno o due emendamenti ok per il governo

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 26 novembre 2022

La «contromanovra» annunciata da Calenda, quella che illustrerà alla premier nei prossimi giorni, non è solo propaganda. Risponde a una strategia del resto già fatta trasparire in campagna elettorale. Infatti Calenda insiste: «L’abuso d’ufficio va eliminato perché paralizza l’attività amministrativa dei sindaci. Su questo punto condivido la linea di Nordio». È opinione sincera del leader del Terzo Polo ma è anche un segnale preciso, uno dei tanti che lui e Giorgia Meloni si stanno scambiando in questi giorni.

Il prossimo segnale potrebbe arrivare proprio dall’incontro con la premier. La pomposa definizione «contromanovra» è uno specchietto per le allodole: se si trattasse solo di questo non ci sarebbe bisogno di vedersi. La speranza è che dal pacchetto saltino fuori uno o due emendamenti accettabili per il governo. Sarebbe qualcosa in più di un semplice segnale. Confermerebbe quanto dichiara lo stesso Calenda: «A differenza del Pd, Meloni ci ascolta, è un atto di maturità politica».

Illustrerebbe nella pratica cosa intende dire quando afferma: «Restiamo all’opposizione, però non pregiudiziale». La stessa Meloni ha tutto l’interesse nel dimostrare che non è lei a rifiutare il dialogo con l’opposizione ma sono Pd e M5S a non volerne sapere. Non a caso è stata proprio lei a smentire il fedelissimo Fazzolari, che aveva liquidato Calenda come «un chiacchierone», accettando la richiesta d’incontro.

Forza Italia, si sa, sente puzza di bruciato. Gli azzurri, guidati da un Cavaliere inviperito per lo scarso ruolo riservatogli nella definizione della manovra, si preparano a dare battaglia in aula. Vogliono portare a casa un paio di modifiche significative e simboliche: magari un allentamento delle restrizioni sul reddito di cittadinanza o un allungamento dei tempi dell’esecuzione, certamente qualche spiccio in più per le pensioni minime, auspicabilmente qualcosa che renda meno furibonda Confindustria.

Temono che il civettamento tra la presidente e il leader del Terzo Polo miri proprio a depotenziare un po’ (ma non del tutto) il peso dei loro numeri in aula. Non è escluso che su questo o quel particolare della manovra possa succedere, mentre è del tutto fuori discussione l’ipotesi di un allargamento della maggioranza: non converrebbe né alla premier né alla coppia Calenda-Renzi. Ma la marcia di avvicinamento ha obiettivi ben più ambiziosi e strategici che non fare un dispettuccio ad Arcore.

L’orizzonte è la riforma istituzionale che la premier è più che mai determinata a varare. Per il Terzo Polo si tratta di proporsi come punto di riferimento per l’elettorato moderato di entrambe le aree, stanco di un confronto politico basato sulla delegittimazione degli avversari e l’intransigenza contro ogni possibilità di dialogo. In più Calenda e Renzi hanno tutto l’interesse a spingere il Pd su posizioni rigide, vicine a quelle di Conte, per mettersi poi all’asta come alternativa a quella «deriva estremista».

L’interesse di Meloni è altrettanto cospicuo. Una riforma istituzionale imposta dalla maggioranza avrebbe un senso ben diverso dalla stessa riforma concordata con almeno una parte dell’opposizione e il significato dell’operazione muterebbe di segno anche agli occhi della Ue e dei principali Paesi europei. E l’eventuale referendum diventerebbe tutt’altra cosa se a favore della conferma di una forma di presidenzialismo ci fosse almeno una delle tre forze d’opposizione. Per questo Calenda e Meloni proveranno a dialogare davvero: sulla base di un comune profitto.

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