Dalla Nato a Daniel, la Libia annichilita. Ma si poteva evitare
Il disastro di Derna Uno studio del 2022 aveva lanciato l’allarme sulle dighe fragili e i palazzi costruiti nel posto sbagliato. Due governi, un fallimento
Il disastro di Derna Uno studio del 2022 aveva lanciato l’allarme sulle dighe fragili e i palazzi costruiti nel posto sbagliato. Due governi, un fallimento
Cadevano, nell’area di Derna adesso annichilita, poche centinaia di millimetri di pioggia all’anno. Ma l’eccezionalità rappresentata dal ciclone Daniel spiega solo in parte la tragedia. Che ha radici anche nella guerra. Quella del 2011 – con aerei e navi della Nato a sostegno dei cosiddetti «ribelli» anti-Gheddafi – che ha fatto della Libia uno Stato fallito. Mancanza di governance, rivalità fra i due governi, caos securitario, occupazione da parte di islamisti (compreso lo Stato islamico) proprio a Derna fra le altre regioni, corruzione e storno di fondi: in questo contesto la manutenzione delle due dighe crollate l’11 settembre non era una priorità, né lo era evitare costruzioni scriteriate sul percorso diretto dell’acqua.
UNO STUDIO, pubblicato nel 2022 sul Sebha University Journal of Pure and Applied Science aveva lanciato l’allarme. Partendo in realtà dalle proposte per ridurre il fenomeno della desertificazione nel bacino del Wadi Derna, la ricerca sul campo aveva sottolineato anche la necessità di misure quali una seria e regolare manutenzione delle dighe per evitare disastri in caso di inondazioni. Ce n’erano state 5 dal 1942. Stavolta il crollo delle due infrastrutture sulla pressione di Daniel ha seppellito l’area sotto enormi quantità di detriti.
I ricercatori avevano anche rilevato la presenza di tanti edifici in aree a rischio inondazione e la necessità di predisporre sistemi di allerta e intervento. E infatti, come in Turchia in occasione del terremoto dello scorso febbraio, l’elevatissimo numero di vittime è anche legato al fatto che le regole per la costruzione degli edifici erano a dir poco carenti: case mal costruite, poste vicino all’alveo. Lo stesso vicesindaco di Derna, Ahmed Madroud, ha detto che la città è stata costruita in modo da mettere la maggior parte degli abitanti sul percorso diretto dell’acqua.
Non solo: il segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) Petter Taalas ha dichiarato che parte della tragedia avrebbe potuto essere evitata se il paese avesse avuto un sistema funzionante di allerta. E ha molto spazio sui social libici l’accusa al governo di Tobruk: invece di aiutare l’evacuazione, decisa il giorno 10 sulla base della minaccia Daniel che aveva già danneggiato altri paesi, il viceministro agli Interni avrebbe avrebbe ordinato un coprifuoco di 48 ore. Oltre alle denunce per la mancanza di prevenzione, si susseguono quelle relative allo storno dei fondi stanziati per la manutenzione.
Adesso la priorità sono i soccorsi per salvare eventuali superstiti, evitare le epidemie dovute all’immane quantità di corpi nell’acqua, gestire gli sfollati. Ma è diffuso il sospetto che le rivalità fra i due governi regionali libici abbiano rallentato l’arrivo dei soccorsi. Così, è stato chiesto al procuratore generale libico di avviare un’inchiesta sulle responsabilità nel collasso delle dighe e nei presunti ostacoli posti agli aiuti. E una petizione internazionale, oltre a fare appello per gli aiuti, accusa il fallimento dei due governi nel «prevenire e mitigare» la catastrofe.
IL DESTINO IGNOTO di una famiglia riassume le traversie degli abitanti di Derna a partire dall’intervento della Nato. Noor aveva quattro anni nel 2011 quando con i genitori e i fratelli aveva lasciato la città orientale passata sotto il controllo degli islamisti. Era sfollata con altre 500 persone a Sidh Sahia, 40 km da Tripoli, in un campo profughi. Reema, la madre, diceva, agli inizi di agosto spezzando il Ramadan con acqua di fiori di arancio: «Qui siamo rifocillati e i bambini vanno a scuola, ma che vita stupida aspettare qua da mesi». Dopo poche settimane, Tripoli cade.
Il corrispondente della tivù venezuelana Telesur si reca a Sidh Sahia, con le cautele del caso. Ma il campo rifugiati è stato svuotato. Se gli sfollati fossero tornati a Derna, avrebbero trovato, di lì a pochi anni, le bandiere nere dell’Isis. E se fossero sopravvissuti alle violenze, adesso sarebbero immersi in una catastrofe in cui i corpi per ragioni di ordine sanitario finiscono in vere fosse comuni, non come quelle millantate nel 2011.
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