Dalla Libia a Saied si punta solo a fermare i migranti. Con ogni mezzo
Le politiche di Roma e Bruxelles L’incognita Tunisia pesa sul risultato del prossimo Consiglio europeo
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Eppure un modo per evitare che tragedie come quella di ieri in Grecia, o quella avvenuta del 26 febbraio scorso a Cutro, si ripetano ci sarebbe. O quanto meno per limitarle. Basterebbe che l’Unione europea si decidesse a ripristinare una missione navale che raccogliesse i naufraghi in mare portandoli in salvo, in modo da consentire di chiedere asilo alle persone bisognose di protezione e nel caso rimpatriare chi non avesse diritto di restare. Invece non si fa, preferendo spendere inutili parole di dolore di fronte alle ultime decine di morti affogati.
Eppure l’Europa, e l’Italia in particolare, per fermare i migranti le navi in mare le mette, e non solo quelle. Anche jeep, camion, droni, attrezzature elettroniche, uomini per addestrare gli equipaggi di cosiddette Guardie costiere il cui unico compito non è salvare, bensì fermare chi fugge attraverso il Mediterraneo. Come poi questo compito venga svolto non importa, come dimostrano le ripetute violenze compiute dai libici su uomini, donne e bambini, o le bastonate assestate dai tunisini su altri uomini, donne e bambini come denunciato due giorni fa da Repubblica.
Gli ultimi equipaggiamenti sono stati consegnati proprio ieri dal nostro ministero degli Esteri alla Tunisia del presidente Kais Saied, uno che imprigiona gli oppositori e che ha accusato i migranti subsahariani di volersi sostituire ai tunisini: 82 mezzi che – hanno spiegato fonti del Viminale – serviranno per rafforzare la capacità operativa del paese nordafricano per il controllo delle frontiere.
Non sono gli unici. Le motovedette con cui Tripoli insegue i migranti per riportarli nell’inferno dei centri di detenzione, le fornisce l’Italia. E il Viminale si starebbe preparando a rifornire il generale Kalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica dalla quale da mesi partono i barconi, con cinque motovedette, radar, droni e fondi per sostenere l’agricoltura.
Fermare i migranti, impedire che attraversino il mare è diventato l’unico obiettivo. A Bruxelles come a Roma dove se non si trova una soluzione all’impennata di sbarchi (55.560 dal primo gennaio al 14 giugno, contro i 22.071 dell’analogo periodo del 2022) il governo Meloni rischia di veder crollare tutta la narrazione sui migranti che ha contribuito non poco alla vittoria elettorale delle destre. Dal blocco navale più volte promesso e oggi finalmente accantonato, all’impegno di difendere i confini esterni dell’Ue, passando dall’imperativo «Se l’Europa non si muove facciamo da soli», al più realistico «L’Europa ci aiuti, non possiamo fare da soli».
Peccato che è dal 2015 che sui migranti l’Unione europea è divisa, incapace di trovare una politica comune. Come conferma la spaccatura registrata giovedì scorso sul nuovo Patto immigrazione e asilo che non riconosce niente di quanto avrebbe voluto l’Italia: no ai ricollocamenti obbligatori, resta la responsabilità dei paesi di primo approdo ai quali si chiede di realizzare centri chiusi per accogliere i richiedenti asilo e maggiori controlli per evitare i movimenti secondari. In cambio il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ottenuto il via libera alla possibilità di rimandare i migranti nell’ultimo paese di transito sicuro non europeo. Misura che bisognerà vedere quanto realmente applicabile e che rischia di mettere in discussione il principio di asilo.
Senza considerare la freddezza mostrata finora da alcuni paesi del Nord Europa verso il credito mostrato nei confronti della Tunisia. Il viaggio fatto domenica scorsa da Meloni con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e il premier olandese Marc Rutte non ha di fatto portato alcun risultato concreto. Solo lo stanziamento di 250 milioni di euro da parte dell’Unione europea. Briciole rispetto alle reali necessità economiche di Tunisi e ai 900 milioni di euro che Bruxelles sarebbe pronta a investire se Saied si decidesse a accettare le condizioni poste dal Fmi per sbloccare un ulteriore prestito di 1,9 miliardi di dollari. Per ora invece tutto resta fermo, al punto da allungare più di un’ombra sula possibilità che il Consiglio europeo del 29 giugno possa davvero approdare a qualche decisione.
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