La condizione ecologica nella quale ci accoglie Andrea Ghelfi prende le mosse dal confronto diretto con il difficile presente della crisi climatica ed ecologica ma invita a considerarne le determinazioni spaziali e temporali, nonché le possibilità politiche. Per questo il libro «è prima di tutto un invito a sperimentare, con le parole e con le azioni, nuovi modi di abitare un territorio». L’interesse che muove l’autore è quello della ricerca di una politica materialista all’altezza della difficile situazione nella quale si trovano le società, il cosiddetto ambiente e la stessa soggettività umana. Per tracciare una ecologia politica della materia, sempre più urgente nell’avanzare delle crisi ecologiche, l’autore spinge a rompere le barriere tra queste tre realtà assemblando nuove alleanze inter-specie e innovativi attrezzi da lavoro. Gli strumenti attraverso cui Ghelfi traccia una simile politica in mondi più che umani sono di vario tipo: dai concetti più complessi della filosofia critica contemporanea agli strumenti per zappare, innaffiare o fermentare. La condizione ecologica risulta dunque un vettore di traduzione o mediazione tra mondi e materie differenti.

La stessa nozione di traduzione viene spiegata a partire dal lavoro di Bruno Latour, da cui l’autore riprende l’idea di un’agency terrestre, che non si localizza nel solo corpo umano ma è «redistribuita in un campo costituito dalla presenza attiva di attori eterogenei». Ghelfi prende molto, dunque, dall’Actor Network Theory di Latour che si proietta sul campo del «terrestre», cioè dove si colloca la proposta di transizione ecologica ripresa nell’ultimo capitolo con lo scopo di rifuggire tanto i paradigmi universalistici, quanto il localismo regressivo. Tuttavia, l’autore critica la concezione politica che Latour propone nei suoi lavori più recenti: inserendo la politica terrestre nella tradizione della rappresentanza moderna, Latour ha tralasciato la potenza istituente delle pratiche e dunque la creazione materiale di mondi alternativi. Ghelfi pone un problema che emerge dall’osservazione di un vasto ventaglio di movimenti, dall’agroecologia alle fabbriche occupate, e ne trae un punto centrale dell’ecologia politica: la «sperimentazione di altri modi di relazionarsi tra esseri umani, animali e piane, oggetti e tecnologie».

La condizione ecologica si colloca così all’interno di un passaggio critico che permea i dibattiti dei movimenti ecologisti odierni: la necessità, pratica e quotidiana, di produrre mondi alternativi. Tale necessità diviene vitale e attuale per le giovani generazioni di attivisti climatici nel momento in cui si sono visti scippare la grande attenzione mediatica del 2018-19 dal sopraggiungere di altre crisi, lette come effetti di un mondo insostenibile. La forte proposta di Ghelfi (e Dimitris Papadopoulos, attivista e professore greco con cui ha collaborato nelle università inglesi) è quella dei «movimenti più che sociali». Movimenti, cioè, che subordinano la protesta del sistema vigente alla co-creazione di mondi dove l’essere umano si consideri dal principio alleato di altre forme di vita, ponendo al servizio, anziché usandole per il dominio, le sue tecnologie. Si tratta quindi di intensità che si fanno alternativa sistemica. Un piccolo esempio è Mondeggi, la fattoria senza padroni a cui è dedicata una parte del libro, oltre che la vita politica dell’autore. Intensità analoga, dall’altra parte di Firenze, è rappresentata dalla lotta incessante per una fabbrica socialmente integrata a produzione ecologica portata avanti dagli operai ex-Gkn.

Ben oltre Latour, questo libro prende spunto dalla permacultura per tradurre alcune pratiche concrete di produzione e ricerca in possibilità di politica ecologista permanente. Per farlo, La condizione ecologica salda il debito intellettuale dell’autore con Felix Guattari, Donna Haraway e Isabelle Stengers. Alcune delle opere più visionarie e criptiche dell’ecologismo contemporaneo vengono rimesse a terra. Non per seppellirle, ma per farle germinare. Nelle pratiche e, dunque, nella materia viva.