D’Alema riempie la platea del No
Riforma costituzionale Con l'ex presidente del Consiglio tanti esponenti di centrodestra, un po' meno di centrosinistra, e molte vecchie glorie della politica. Ma la proposta di riforma costituzionale "condivisa" per il dopo referendum, in caso di vittoria del No, è davvero minimale
Riforma costituzionale Con l'ex presidente del Consiglio tanti esponenti di centrodestra, un po' meno di centrosinistra, e molte vecchie glorie della politica. Ma la proposta di riforma costituzionale "condivisa" per il dopo referendum, in caso di vittoria del No, è davvero minimale
Fini e Dini, Calvi e Salvi, tanto centrodestra (Romani, Brunetta, Fedriga, Schifani, Gasparri…), un po’ meno centrosinistra (Civati, Tocci, Zoggia…), vecchie glorie (Pomicino, Gargani), costituzionalisti di diverse sponde (Cheli, Gallo, Antonini, Pertici e poi l’ingresso, applaudito, di Stefano Rodotà), persino Ingroia. Massimo D’Alema è il primo a rendersi conto che la composizione articolata – diciamo – della sua platea può essere un problema.
In altri tempi, la capacità di mettere assieme culture ed esperienze politiche così diverse – e c’è anche il senatore Ferrara capogruppo del Gal – sarebbe stata un valore aggiunto. Tanto più in una campagna per il referendum, dove o si vota Sì o si vota No, e allora bisogna conquistare elettori dall’altra parte della barricata. «Il referendum si vince a destra» non l’ha detto D’Alema, anche se probabilmente l’ha pensato pure lui vista la mossa di presentarsi per la prima iniziativa pubblica (dopo quella di lancio del suo comitato a settembre) con accanto l’ex berlusconiano, ed ex ministro, Gaetano Quagliariello. Ma è contro D’Alema che si scatenano le ironie dei renziani da social media e le tante prese in giro per l’allegra brigata del No. D’Alema se lo aspetta, e spiega: «Non c’è un fronte politico del No, mentre esiste un blocco politico del Sì, uno schieramento anche abbastanza minaccioso che copre di insulti chi la pensa diversamente». Quorum ego, intende dire, non essendo tipo che dimentica presto gli attacchi ricevuti da Lotti e da Orfini (all’ex delfino replica con un acidissimo elogio al «capolavoro delle elezioni di Roma, un vero manuale di come non si fa politica»). E a proposito di ex, si distingue Gianni Cuperlo, che critica D’Alema non per la compagnia ma per quello che ha detto, in particolare per una frase sul «clima di paura e intimidazione che fa sentire in colpa chi è per il No, come se portasse il paese verso il baratro». «Non condivido il senso, la natura e lo stile di queste dichiarazioni», dice Cuperlo.
Il programma di D’Alema, però, non si ferma alla campagna per il referendum. Guarda fuori dal Pd e vuole, come ha detto altre volte, «riaprire una prospettiva a sinistra battendo il partito della nazione». E vuole anche sfuggire l’accusa di saper dire solo di no, per cui ci tiene a un progetto di riforma costituzionale «minima» che possa essere condiviso, a differenza di quello renziano, e possa essere approvato da questo stesso parlamento in caso di vittoria del No. Prima della conclusione della legislatura. Solo che il progetto presentato ieri, con Quagliariello – anzi, da Quagliariello -, è davvero minimale, affronta solo, in due articoli, la riduzione dei senatori (da 315 a 200) e dei deputati (da 630 a 400). Per cui appaiono un po’ sopra misura i ringraziamenti di D’Alema ai «tanti studiosi che con molto coraggio hanno lavorato a questa proposta». Proposta anche più prudente di quella, già timida, che era stata annunciata. Perché non c’è nulla di concreto – solo una scheda – sulla «commissione di conciliazione», che potrebbe rappresentare una soluzione sul modello americano al problema della «navette» tra camera e senato (ammesso che sia un problema). E non c’è nulla di nulla, neanche una scheda, sulla fiducia alla sola camera, che pure D’Alema aveva sposato nella precedente uscita. In effetti è una riforma che è più facile sposare in teoria che scrivere in concreto. Più interessante per i tanti parlamentari in sala un’altra notazione di D’Alema: «La vittoria del No è l’unica garanzia che la legislatura vada avanti».
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