Secondo il ministro Matteo Piantedosi la situazione del Silos a Trieste è risolta. Si è trovata la soluzione, questione di poco. Un futuro migliore per i migranti che si rifugiano la notte sotto le arcate fatiscenti del Silos, poco o niente riparati dalla pioggia e dal vento, tra macerie fango topi e travi cadute. Poi il Silos sarà venduto, ha detto ieri il ministro al question time al Senato: «La prefettura  ha acquisito all’inizio di quest’anno la disponibilità della proprietà a interventi di messa in sicurezza in vista della compravendita della struttura, programmata nel mese di giugno». Sarà vero?

«Io di questi non me ne occupo» aveva detto pochi mesi fa il sindaco Roberto Dipiazza a proposito dei migranti che arrivano a Trieste. Lo si era capito, lo si vedeva da anni: l’amministrazione di quella che è la porta d’ingresso dalla rotta balcanica non si è mai dotata di una politica per l’accoglienza. Se qualche aiuto, qualche spazio si è trovato è stato grazie al volontariato o alla Chiesa. Meglio, le istituzioni hanno smesso di occuparsene da quando la destra ha imposto le sue logiche raccontando la favola della chiusura dei confini per evitare l’invasione.

Pattuglie a percorrere il Carso, fotocellule, respingimenti anche illegali, anche brutali e una città cieca e sorda chiamata a lamentarsi se non a inveire per difendere il proprio “decoro” e il proprio modello di “civiltà”. Passati i tempi dell’accoglienza diffusa, quella nata con lo sgretolamento della Jugoslavia e l’arrivo massiccio dai Balcani di gente in cerca di futuro: corsi di lingua e professionalizzanti, occasioni di impiego, appartamenti in affitto… una realtà rimasta viva soltanto per la caparbietà del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) e pochi altri ma con sempre meno soldi e meno supporto mentre il numero dei migranti in arrivo è, ovviamente, quantomeno costante.

Nel tempo il caso Silos è esploso. Troppo estreme le condizioni di quel “rifugio” perché non arrivasse ai giornali e alle televisioni, perché non diventasse scandalo e vergogna anche fuori dall’Italia. E, a Trieste, anche il nuovo vescovo che ha attrezzato un nuovo piccolo dormitorio, si è fatto vedere di persona, le scarpe nel fango, dentro il Silos, a portare una parola, un momento solidale a quei giovani.

Nella piazza davanti alla stazione (e al Silos) non c’è più da tempo soltanto Lorena Fornasir, la rete è cresciuta: ogni sera ci sono gruppi di volenterosi che arrivano da tutta Italia e portano cibo e legna e farina, ci sono “fornelli resistenti” a cucinare e imbandire tavolate, qualche sera si fa musica o si gioca a palla con i ragazzi afgani e pakistani e da un po’ i curdi che arrivano con i loro bambini spesso piccolissimi. Tanto che un paio di settimane fa sono stati i ragazzi che trovano rifugio sotto le arcate fatiscenti a invitare la popolazione a una giornata di incontro per mangiare assieme, per parlare, per condividere.

Ma il vero blitz è stato quello di un gruppetto (la documentazione anche fotografica è pubblicata sul sito di meltingpot.org) che è riuscito a entrare dentro un enorme spazio a pochi metri dal Silos: c’era stato un mercato coperto lì, dismesso da pochi anni, ma lo spazio c’è ed è riparato e c’è la luce, ci sono i bagni e perfino le docce. Abbandonato. Nel 2022 l’allora prefetto di Trieste aveva proposto proprio quei locali come rifugio temporaneo per i migranti ma il sindaco Dipiazza aveva detto un secco «no» pressato dall’estrema destra che fa il bello e cattivo tempo in Comune (a cui lui si adatta perfettamente, peraltro).

La soluzione era lì, a portata di mano, con quale scusa si poteva continuare a negarla? Stava davvero per esplodere uno scandalo.

Poi, una settimana fa, è partita una petizione su change.org dove si chiede al presidente Mattarella, che a maggio sarà a Trieste, di occuparsi del Silos, di far finire questo orrore e le firme sono arrivate a migliaia perché evidentemente anche la disattenta Trieste comincia a provare vergogna, esiste un “troppo” anche per gli stomaci più forti.

Insomma, situazione ormai abbondantemente insostenibile, necessario porvi rimedio ed ecco la proposta fatta dal sindaco e accolta da tutti, Viminale in testa: si caccia definitivamente il Campo Scout che occupa da decine di anni un bel terreno in mezzo al Carso e tutti i migranti che arrivano a Trieste si mettono lì in attesa di trasferimento. Quel bellissimo luogo è stato gestito per anni da una associazione, «Amici delle iniziative scout»: il prato, gli alberi, gli edifici con le camerate, i bagni, la grande cucina e la sala da pranzo.

È stato un luogo di ritrovo per tutti, lì si sono svolti matrimoni e battesimi, si sono organizzate feste e si sono raccolte compagnie di scout da tutto il mondo. Con l’arrivo della pandemia nel 2021, il Comune, proprietario del terreno, ha fatto saltare tutto e ha chiuso lì in quarantena i migranti che arrivavano e che erano tanti e le camerate non bastavano e allora le tende dell’esercito e decine di ragazzi ad aspettare chissà cosa e chissà quando. Non c’è fognatura al Campo Scout, c’è un pozzo nero che era anche tracimato fino a rendere il prato un acquitrino maleodorante.

E lì che in quattro e quattr’otto si realizzerà il trasferimento dal Silos. Sì, certo, lo ammette perfino il sindaco, occorrerà pensare alle fognature e poi anche a una bella nuova recinzione (?) ma che vuoi che sia, detto e fatto. Sono contenti gli scout di restare senza più un luogo dove riunirsi o di trovarsi a contrattare qualche alternativa chissà dove e chissà quando? Ci crede davvero qualcuno che in brevissimo tempo si realizzano fognature nuove tra le pietre del Carso? Perché non si approfitta degli spazi del vecchio mercato che ci sono già, che basterebbe aprire il portone? A dirla tutta, in città c’è un certo scetticismo anche perché non sarebbe la prima volta, anzi, che dal sindaco arrivano idee fantasmagoriche che poi si perdono nel dimenticatoio. Staremo a vedere.