Una storia drammatica, tra le migliaia che si consumano sulla rotta balcanica. Stavolta però c’è una condanna del ministero dell’Interno e una sentenza del Tribunale di Roma che sancisce l’illegittimità delle riammissioni informali. «La lesione del diritto d’asilo e i trattamenti inumani – scrive la giudice Damiana Colla – sono stati la diretta conseguenza della riammissione informale del ricorrente in Slovenia da parte delle autorità di frontiera di Trieste».

La storia è quella di un cittadino pachistano fuggito dal suo Paese nel 2018, ferito, dopo un attacco terroristico dei talebani pachistani. Anni di peregrinazioni tra la Turchia, la Grecia, la Serbia, più volte percorre i Balcani ma viene sempre respinto finché il 17 ottobre 2020 arriva a Trieste. Non sa che su quel confine le riammissioni informali sono, da mesi, prassi: fermato dalla polizia con un gruppo di altri migranti dichiara di voler chiedere asilo, firma un foglio di cui non capisce il contenuto e… viene consegnato alla polizia slovena. Non ha niente in mano, non un provvedimento da poter impugnare e si ritrova riportato indietro: Slovenia, Croazia, Bosnia, e i modi sono spesso brutali. Non è (più) un richiedente asilo ma un cittadino extraeuropeo entrato irregolarmente. Lo lasciano vicino a Bihac, nel gelido inverno bosniaco, in quell’insediamento informale dove i migranti dormono nel bosco, senza acqua, senza cibo: l’inferno della Bosnia.

Di nuovo riesce a scappare e riprende la sua strada verso l’Italia ma non si ferma a Trieste: ha saputo che a gennaio il Tribunale di Roma ha emesso una sentenza a favore di un altro giovane pachistano condannando il Viminale per la prassi illegale delle riammissioni informali, ma non si fida, il confine è troppo vicino, e arriva in Lombardia. Riesce a presentare domanda di asilo e, alla fine del 2021, ottiene lo status di rifugiato ma decide che le sue sofferenze devono essere conosciute e fa ricorso.

La solidarietà dimostra tutta la sua presenza: c’è Diego Saccora, operatore sociale che, con la giornalista Elisa Oddone, aveva già incrociato e documentato quella storia in Bosnia. Ci sono le avvocate Anna Brambilla e Caterina Bove che riescono a ottenere con un accesso agli atti – una novità – la documentazione che prova i passaggi di mano tra le polizie italiana, slovena e croata. Un apparato probatorio che fa confermare alla giudice come la prassi delle riammissioni informali è «antigiuridica e dunque illegittima» per contrasto con la Costituzione e le norme internazionali.