Il copyright su una parola d’ordine. E non era mai successo. Uno slogan che ha diviso, che ha fatto discutere, tanto che le «propaggini» di quel dibattito sono arrivate anche dentro il movimento pacifista.

«Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera», slogan che qualcuno ha tentato di incasellare nell’antisemitismo, il cui significato però nessuno s’è preso la briga di chiederlo a chi lo scandisce. Né tanto meno ha studiato la sua nascita, a metà degli anni ’60, quando gli accordi di Oslo erano ancora lontani. Uno slogan sub iudice in alcuni paesi europei ma che forse sarà impossibile da usare. Se non pagando una tassa.

LA NOTIZIA è di pochi giorni fa: due avvocati statunitensi – Joel Ackerman e Oron Rosenkrantz – hanno presentato all’ufficio americano che regola il copyright, la Uspto (United States Patent and Trademark Office), delle domande per registrare il marchio dello slogan. O di un pezzo dello slogan.

Per «from the river to the sea, Palestine will be free» ha fatto domanda il primo, solo per «from the river to the sea», il secondo. Se le richieste verranno accettate, quella frase non la si potrà più stampare su t-shirts, felpe, cappellini, bandiere.

A meno che non si paghi una royalty a una improbabile società del New Jersey. Scandirlo in piazza, scriverlo su un cartello gratuitamente forse sarà possibile, con qualche rischio.

Resta da capire se l’eventuale accettazione della domanda avrà effetti anche in Europa o in altre parti del mondo. Visto che «timbri» di copyright di questo tipo, per valere ovunque, hanno bisogno di un’ulteriore accettazione da parte di organismi internazionali che, su cause considerate minori, impiegano anni a deliberare.

PIUTTOSTO evidente comunque l’obiettivo politico dei due avvocati, esponenti – par di capire – della parte più conservatrice della comunità ebraica. Una mossa che non è piaciuta affatto a tanti altri esponenti della stessa comunità.

Come ha spiegato al Jerusalem Post, l’avvocato Lihi Katzenelson, dello studio legale Tadmor-Levy, famoso in tutto il mondo e specializzato in proprietà intellettuale: «In America le domande per brevetti e copyright sono pubbliche. Ho la sensazione che quest’idea porterà un po’ di pubblicità ai protagonisti ma finirà per rivolgersi contro la nostra comunità».