«Macron se ne deve andare: l’enunciato ha ormai un grado d’evidenza tale da far arrossire chi lo scrive». In un testo pubblicato ieri su Mediapart, lo scrittore francese Joseph Andras ha colto con precisione i sentimenti di una larga parte dei francesi nei confronti del proprio presidente. Un’emozione condivisa dai leader sindacali più moderati come Laurent Berger della Cfdt, che ha denunciato su Twitter il «disprezzo» dell’inquilino dell’Eliseo, così come dai giovani che percorrono di notte le strade delle città francesi, rovesciando i cassonetti e invocando il destino di Luigi XVI, «che abbiamo decapitato / Macron, possiamo rifarlo».

LO SDEGNO GENERALE che ha accolto gli eventi delle ultime 48 ore, tuttavia, non ha ancora trovato sfogo in una strategia chiara di mobilitazione. L’approvazione della riforma delle pensioni da parte del Consiglio costituzionale, e la promulgazione della legge da parte dell’Eliseo nella notte, non hanno innescato quel meccanismo esplosivo che aveva invece scosso il paese un mese fa, all’indomani del voto di fiducia sulla riforma.
Per ora, l’intersindacale ha deciso di puntare tutto sulla costruzione di un primo maggio di blocchi e scioperi generalizzati. La segretaria della Cgt Sophie Binet ha promesso l’altro ieri «un’onda anomala popolare, storica» che travolga il paese il primo maggio, annunciando due giornate di mobilitazione intermedia il 20 e il 28 aprile.
Nel frattempo, i giovani, la sera, continuano a battere i pavé nelle grandi città: da Marsiglia a Bordeaux, da Tolosa a Lione, gruppetti di centinaia di manifestanti – spesso giovanissimi – continuano a praticare la manif sauvage, quella forma di corteo spontaneo che si sposta veloce per le vie del centro, improvvisando barricate e dando fuoco alla spazzatura, o addirittura, come a Rennes l’altra sera, alle porte dei commissariati.

LE SAUVAGES sono ormai marcate a uomo dalla polizia, che l’altro ieri, solo a Parigi, ha circondato decine e decine di manifestanti, procedendo a una trentina d’arresti. Ieri, sempre a Rennes, una manifestazione dei movimenti autonomi e femministi chiamata all’esterno del perimetro sindacale si è scontrata per ore con la polizia, mentre a Parigi gruppetti vari circolavano nel nord e nell’est della capitale.

LENTAMENTE, altre iniziative cominciano a coagulare sui social e nelle assemblee. Chat di gruppo si organizzano per andare a sostenere i blocchi degli spazzini a Parigi; studenti si uniscono a sindacalisti per andare a bloccare le tangenziali in Bretagna; liceali promettono di bloccare a ripetizione le scuole. E c’è persino chi invita a sabotare i lavori per i giochi olimpici, che Parigi ospiterà nell’estate 2024: «pas de retrait, pas de JO», niente ritiro, niente giochi, recita lo slogan che comincia ad apparire sui muri delle città e sulle timeline dei social network.
In parallelo, alcuni settori strategici tentano di mobilitarsi. Il 13 aprile, sotto gli auspici della Cgt, gli spazzini parigini hanno ripreso lo sciopero, cominciando a bloccare gli inceneritori e i depositi attorno alla capitale. L’organizzazione dei blocchi della spazzatura è un affare complesso, e la prossima settimana sarà cruciale per capire se le azioni dei netturbini avranno l’effetto sperato, cioè seppellire la capitale sotto i rifiuti.

Nei settori più tradizionali si guarda con ansia alle raffinerie, che avevano interrotto la mobilitazione una settimana fa, e potrebbero riattivarsi in questi giorni, scatenando la penuria di carburanti. L’intersindacale dell’Sncf (la compagnia statale dei treni), dal canto suo, ha annunciato l’organizzazione di una «giornata della collera dei ferrovieri» per il prossimo giovedì, «tappa di preparazione» in vista del primo maggio.

LA RIUSCITA della loro mobilitazione potrebbe essere determinante per il prosieguo del movimento sociale. I ferrovieri hanno sempre occupato un ruolo di primo piano in tutti i grandi scioperi francesi – in particolare, durante la lotta vittoriosa del 1995, quando i sindacati riuscirono a fermare la riforma delle pensioni voluta dall’allora primo ministro Alain Juppé, oggi tra i ‘saggi’ del Consiglio costituzionale. Le organizzazioni di settore, seppur in sciopero dal 7 marzo, non sono ancora riuscite a mobilitare quanto avrebbero voluto, né a paralizzare il servizio come auspicato dai sindacati. Una tendenza che sperano si possa invertire, di fronte alla «brutalità di questa riforma», come hanno scritto nel loro comunicato congiunto.