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Dagli all’esercito. Così Netanyahu risale la china

Dagli all’esercito. Così Netanyahu risale la chinaFoto degli ostaggi alla protesta anti-governativa di ieri a Tel Aviv – Ansa

Tel Aviv Secondo un sondaggio di Maariv, il partito di maggioranza relativa Likud e l'attuale governo hanno guadagnato due seggi

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 7 gennaio 2024
Michele GiorgioGERUSALEMME

Yossi Verter prova a metterla sullo scherzo. «Se il leader di Hamas, Yahya Sinwar, ha una ragione per scegliere l’esilio invece del martirio, allora deve essere la gioia di poter osservare da lontano gli israeliani che si fanno a pezzi», ha scritto l’opinionista di Haaretz commentando la rissa scoppiata giovedì sera durante la riunione del gabinetto di sicurezza israeliano.

Battute a parte, quanto è avvenuto e si continuava a commentare ancora ieri, è solo un assaggio di ciò che riservano i prossimi mesi. Lo pensano in molti, convinti che diversi ministri del governo di estrema destra religiosa, inclusi quelli del partito di maggioranza relativa Likud, pur di salvare la poltrona non esiteranno a provocare caos politico e a scaricare le responsabilità su esercito e intelligence per il fallimento del 7 ottobre.

NON SORPRENDE CHE IERI SERA a Tel Aviv, Haifa e in altre località siano scesi più numerosi in strada gli israeliani che chiedono elezioni subito e non al termine della guerra a Gaza. In questo modo dicono, non si offriranno a Netanyahu e ai suoi ministri lo spazio e il tempo di rimescolare le carte e provare a riconquistare i favori degli israeliani dopo il «fallimento» del 7 ottobre gettando solo sulle spalle dei comandanti militari e dell’intelligence il non aver saputo prevenire l’attacco di Hamas nel sud di Israele.

Pochi dubitano che dietro la rissa di giovedì non ci sia lo stesso primo ministro. L’attacco al capo di stato maggiore Herzi Halevi è partito da due team: i ministri David Amsalem e Miri Regev, fedelissimi di Netanyahu, e i ministri Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, leader dell’estrema destra alleati del premier. Tutti e quattro si sono scagliati contro Halevi che a capo della commissione d’inchiesta militare sul 7 ottobre ha nominato l’ex capo di stato maggiore Shaul Mofaz che, dice la destra, è stato con il premier scomparso Ariel Sharon responsabile del «disimpegno», l’evacuazione da Gaza nel 2005 di coloni e soldati, «causa originaria» dell’attacco compiuto da Hamas 18 anni dopo.

Netanyahu è rimasto quasi sempre in silenzio mentre i ministri si lanciavano all’attacco di Halevi usando parole che la stampa israeliana ha descritto come «volgari». Se davvero giovedì sera c’è stato un complotto, il leader ne è stato lui che scaricando le sue responsabilità e provando a presentarsi come il comandante in capo della guerra contro Hamas, Gaza e tutti i palestinesi, prova a risalire la china.

L’ASSASSINIO A BEIRUT di Saleh Aruri, numero due dell’ufficio politico di Hamas, e le sentenze della Corte suprema, che hanno bocciato parti importanti della riforma giudiziaria del governo, hanno riportato una parte della destra ultranazionalista dietro Netanyahu. Secondo un sondaggio di Maariv, il partito di maggioranza relativa Likud e l’attuale governo hanno guadagnato due seggi. Anche la fiducia degli israeliani nei confronti di Netanyahu come premier è in risalita, anche se resta lontano di 14 punti dal leader centrista Benny Gantz. Nello stesso sondaggio, agli israeliani è stato chiesto se credono che il governo sia davvero determinato a riportare a casa gli ostaggi tenuti prigionieri a Gaza. Il 42% pensa di sì, rispetto al 39% che ritiene che lo sforzo sia diminuito.

Netanyahu non può festeggiare ma i numeri per lui sono meno drammatici di qualche settimana fa. Anche per questo non fermerà la guerra a Gaza.

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