Da Palermo a Genova II, il travaglio delle Conferenze
VI Conferenza nazionale sulle droghe L’appuntamento triennale governativo fu richiesto dalle opposizioni per valutare gli effetti criminogeni della legge punitiva del 1990. Quella in vigore
VI Conferenza nazionale sulle droghe L’appuntamento triennale governativo fu richiesto dalle opposizioni per valutare gli effetti criminogeni della legge punitiva del 1990. Quella in vigore
Alla vigilia della Conferenza governativa sulle droghe di Genova ripercorriamo la ratio, le finalità, la storia di questo appuntamento, per avere un metro di giudizio politico più solido sull’evento che ci sta davanti. L’appuntamento triennale della Conferenza fu introdotto nella legge del 1990, la Jervolino-Vassalli. Insieme alla Relazione Annuale al Parlamento, fu il frutto della battaglia delle opposizioni durante la discussione parlamentare. Poiché il disegno di legge del governo introduceva un giro di vite proibizionista (in particolare punendo il semplice consumatore), le opposizioni chiesero strumenti per monitorare gli effetti delle nuove norme. Il Presidente del Consiglio deve convocare ogni tre anni la Conferenza, le cui conclusioni «sono comunicate al Parlamento anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall’esperienza applicativa» (art.1, comma 15). Il primo obiettivo della Conferenza è la verifica della legge penale, ricordiamolo bene. Tanto più perché, dopo l’abrogazione da parte della Corte Costituzionale delle modifiche della Fini-Giovanardi, la normativa attualmente vigente è ancora quella del 1990 (senza le sanzioni penali per il consumo abolite dal referendum, ma con le sanzioni amministrative).
Palermo 1993, il referendum spinge
Palermo è il primo grande appuntamento politico sulle droghe dopo il referendum popolare del 1993, che aveva bocciato la svolta punitiva della legge Jervolino Vassalli (vedi: la norma manifesto di divieto di assunzione di sostanze stupefacenti, le sanzioni penali per il consumo, le norme che limitavano la libertà terapeutica). Nel clima post referendario, il termine «riduzione del danno» compare ufficialmente per la prima volta nelle parole della ministra Fernanda Contri. Scompare la comunità terapeutica vista come “la soluzione” alla dipendenza: le comunità mantengono un posto di rilievo nella cura, ma i servizi pubblici diventano il fulcro del sistema e i trattamenti con metadone “a mantenimento” sono finalmente legittimati.
Il cambio di passo si registra anche nelle parole dell’allora presidente del Consiglio Giuliano Amato, a suo tempo uno dei sostenitori dell’approccio proibizionista duro: egli cita positivamente l’esperienza dell’Olanda «in cui il giudice non applica la sanzione penale e può contare sul medico al quale risulta affidato il compito di somministrare anche droga al giovane assuntore in maniera controllata» (il riferimento è ai trattamenti con eroina medica).
Il gruppo di lavoro sulla riduzione del danno, coordinato da Luigi Manconi, stende un programma articolato di riforme: dal potenziamento dei programmi con metadone, alla sperimentazione di trattamenti con eroina, agli interventi di prevenzione dell’Aids in carcere, fino all’alleggerimento del trattamento penale per la cannabis). Palermo, sotto la spinta del referendum popolare, rappresenta dunque una rottura con l’approccio tough on drugs.
Napoli 1997, la riduzione del danno
La Conferenza di Napoli in gran parte si concentra sulla riduzione del danno, dietro la spinta degli sviluppi europei ma anche di un movimento diffuso: molte sono le prese di posizione dei consigli comunali (da Torino a Venezia, da Bologna a Firenze e molte altre) a favore di un mutamento di rotta. All’ipotesi riformista dà voce un documento delle Ong, elaborato proprio in vista della Conferenza. Si propone: il completamento della depenalizzazione del consumo personale iniziato col referendum, la legalizzazione della cannabis, l’espansione della riduzione del danno e la sperimentazione di nuovi interventi (in specie, i trattamenti con eroina). Si propone anche di innovare i processi della decisione politica, dando nuove competenze ai Comuni e prevedendo la partecipazione vasta di soggetti sociali, in primis i consumatori di droghe.
A livello governativo, l’obiettivo è di “sdoganare” la riduzione del danno, facendo sì che sia accettata il più largamente possibile dal vasto mondo delle comunità terapeutiche, molte delle quali ancora riluttanti a rinunciare all’obiettivo unico dell’astinenza e ad accettare i trattamenti con metadone non finalizzati al passaggio veloce all’astinenza. Si cerca un difficile equilibrio fra continuità e discontinuità, fra «lotta alla droga» e governo pragmatico e umanitario del fenomeno, come è evidente dallo slogan dell’evento: «Contro le droghe, cura la vita».
Pur con questi limiti, Napoli 1997 rimane una tappa importante. È attivato un gruppo sulle politiche della cannabis, che conclude i lavori proponendo di sperimentare forme di regolazione legale. La proposta non passa, ma la Conferenza si pronuncia positivamente sulla completa depenalizzazione del consumo: su questo si impegna il governo, come anche sul rafforzamento della riduzione del danno.
Genova 2000, la scienza e la riforma
Nonostante gli impegni della Conferenza di Napoli, la depenalizzazione completa del consumo trova un ostacolo nelle campagne di allarme sul tema sicurezza, cui il governo e le forze politiche, anche a sinistra, sostanzialmente soggiacciono. Anche sul fronte della riduzione del danno permangono le resistenze ideologiche. In questo clima, il movimento rialza la posta. Si forma un ampio Cartello di associazioni (Per un’altra politica delle droghe) e nasce una rete antiproibizionista di centri sociali (Mdma). Il Cartello «Per un’altra politica delle droghe» promuove spazi di dibattito paralleli su temi scottanti, oltre quelli ufficiali, come «carcere, depenalizzazione e decriminalizzazione della vita quotidiana dei consumatori».
Genova passa alla storia per la ricchezza del dibattito e per lo scontro nel governo: da una parte il ministro Umberto Veronesi apre alla cannabis legale e caldeggia la sperimentazione dei trattamenti con eroina; dall’altra, il presidente del Consiglio Amato frena il dibattito sul nascere. Interessante lo scambio fra i due esponenti governativi, poiché si confrontano due concezioni della politica. Veronesi affronta il merito delle questioni e trae indicazioni per le politiche dalle evidenze scientifiche disponibili. Amato definisce il suo approccio «tecnico», contrapposto al «politico» inteso come pura negoziazione fra le forze politiche (nel governo non c’è accordo sulla depenalizzazione, fa sapere il presidente del Consiglio). Quanto al movimento, rischia di diventare una «anomalia di sistema», in una politica ormai distaccata dalla scienza, dalla cultura, dall’esperienza.
Da Genova 2000 a Genova 2021
Le conferenze di Palermo II, del 2005, e di Trieste del 2009 non hanno storia: la prima finalizzata a propagandare il disegno di legge Fini-Giovanardi, contrastato sia nel parlamento che nel Paese; la seconda, a legge approvata grazie a forzature anticostituzionali, tesa solo a legittimare a posteriori la svolta punitiva. Il movimento non ci sta e organizza spazi di discussione e mobilitazione fuori Conferenza.
Che dire oggi di Genova II? A giudicare dal programma, pare una conferenza che “parla d’altro”. Fuoriluogo, soprattutto fuori tempo. Invece di affrontare il nodo della legge e i suoi effetti criminogeni sui consumatori, si parla della «realtà penale e penitenziaria della dipendenza». Invece di parlare di consumi e del governo sociale degli stessi, ci si concentra esclusivamente sulle «dipendenze patologiche». Perfino la ricerca è limitata alle dipendenze, con ospite di riguardo Nora Volkow, principale sostenitrice della addiction come brain disease: proprio oggi che i limiti del modello neurobiologico sono sempre più esplicitamente denunciati. Quanto alla riduzione del danno, se ne parla, ma rigorosamente entro il recinto dei servizi. Le politiche della cannabis neanche sono nominate, né per gli sviluppi di legalizzazione in ambito internazionale, né in ambito nazionale (vedi il successo delle firme per il referendum). Per discutere sul serio, meglio affidarsi al «Fuoriconferenza».
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