Visioni

Da Medellin a Miami, l’ascesa irresistibile della narco-madrina

Da Medellin a Miami, l’ascesa  irresistibile della narco-madrinaCatherine Zeta Jones in una scena di «Cocaine Godmother»

Cinema Intervista a Catherine Zeta Jones, protagonista nei panni di Griselda Blanco, regina della coca nei ’70 del film tv «Cocaine Godmother»

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 26 gennaio 2018
Luca CeladaLOS ANGELES

Non cessa di essere fonte apparentemente infinita di materiale il mondo della cocaina negli Usa degli anni 80 e 90. La «fase colombiana» del commercio di coca con il suo rutilante eccesso di violenza, gli appetiti smisurati dei cartelli sposati a quelli degli eighties americani – un chiaroscuro morale in cui risaltano le malefatte mafiose e l’allegoria capitalista.

Disceso dal capostipite – lo Scarface di Brian De Palma – è un genere ormai con retrogusto retrò che continua ad affascinare. Così almeno sembrano convenire gli studios ed i molti attori attratti ai ruoli dei coloriti personaggi. Vedansi Penelope Cruz e Javier Bardem nel Loving Pablo programmato l’anno scorso a Venezia.

Non sono da meno ovviamente le fiction tv, nella scia del successo di Narcos. Ultimo in ordine di tempo Cocaine Godmother un tv Movie di produzione A&E per il Lifetime Channel. Un progetto fortemente voluto dall’interprete Catherine Zeta-Jones. L’attrice gallese interpreta Griselda Blanco vedova nera o regina della coca a seconda.

Personaggio reale fatto su misura per un adattamento: una narco-madrina emersa dalla povertà e dallo spaventoso degrado delle favelas di Medellin per scalare i ranghi fino a diventare una delle maggiori operatrici della mafia colombiana di Miami e indispensabile socia d’affari di Pablo Escobar che dipendeva dalla sua capillare rete di distribuzione nazionale.

Non a caso a Hollywood sono circolate voci su almeno quattro potenziali adattamenti. Cocaine Godmother è il primo a tagliare il traguardo per il cable Lifetime.

L’irresistibile ascesa della Blanco, madre, cattolica integralista, bisessuale cocainomane, riflette la classica parabola da boss, con riflessi «femministi» se così può definire la storia di una donna che ha fisicamente liquidato tre mariti (ed è stata mandante pare di almeno 200 altri omicidi).

Finita presto nel mirino della DEA, ha scontato (solo) 10 anni di carcere a causa di una fortuita irregolarità processuale che l’ha salvata dall’ergastolo. Tornata in Colombia ha vissuto fino alla età (assai avanzata nella media narco) di 69 anni, dopo essere sopravvissuta oltre che ai coniugi giustiziati anche a 4 figli che hanno pagato prima di lei il prezzo delle sue malefatte.

Come si è avvicinata questo progetto? 

Da spettatrice sono sempre stata affascinata da trame oscure, da fiction e film sulla criminalità, come Il Padrino. Ho scoperto Cocaine Cowboys, un bellissimo doc sul traffico di stupefacenti a Miami nei settanta in cui viene ripetutamente menzionata una figura femminile, Griselda. C’erano alcune foto di lei, pochi fotogrammi. Ma era chiaro che la storia di questa donna meritava maggiore attenzione.

Come ha trovato la chiave giusta per interprertare il personaggio?

Moralmente è l’antitesi di tutto ciò in cui credo. Da attori ci troviamo spesso a rispondere alla domanda su quale qualità abbiamo in comune col personaggio, nel caso di Griselda non c’era nulla, assolutamente nulla. Non volevo «addolcirla», renderla più appetibile al pubblico televisivo, anzi come attrice sono grata che fosse il contrario. La soddisfazione è stata proprio di immergermi in un personaggio così antitetico senza farne una caricatura.

Ma ha dovuto in qualche modo identificarsi con lei?

Moralmente è il mio contrario, l’unica cosa che forse abbiamo in comune è l’iniziativa. Lei voleva il potere e a suo modo il successo e ha fatto di tutto per ottenerlo. E per quanto mi riguarda sono stata spinta da un sentimento simile nella mia carriera. È ciò che mi ha portata fin qui da un piccolo paese del Galles, una sorta di spinta interiore. Certo io non ho l’ambizione egoista di travolgere cose e persone pur di arrivare alla meta. Nella mia concezione c’è spazio per tutti, per le donne dirigenti, le donne nel cinema, davanti e dietro alla cinepresa. Credo che derivi dalla parte «guerriera» della working class gallese e sicuramente l’ho sviluppata nei miei anni come danzatrice, quando lavoravo nel coro di 42nd Street arrivando infine ad essere la protagonista. E gli anni passati a fare la fila al freddo e sotto la pioggia di Londra per i provini, quando mi rimandavano regolarmente via perché cercavano una bionda o ero troppo alta…Me ne tornavo a casa ma la mattina dopo ero di nuovo lì, in fila.

Diciotto anni fa ha recitato in una altro film sul commercio della droga, «Traffic»…

Si è singolare che quel film così importante per me e quest’ultimo progetto ugualmente fondamentale trattino lo stesso argomento, ne parlavo con Soderbergh di recente. E anche la vicenda di Griselda è ambientata nei ’ 70 e le cose non sono realmente cambiate molto da allora. La guerra alla droga è difficile da vincere, come diceva un personaggio proprio in Traffic: «tappi una falla e se ne apre subito un’altra». In definitiva si tratta di offerta e domanda e finisce per toccare tutte le nostre vite.

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