Mathieu Rigouste, classe 1981, è un sociologo francese che si è occupato delle rivolte algerine del 1960, dell’emersione della sicurezza come ideologia politica e delle diverse figure del nemico interno. Approfondisce questi temi a partire dai movimenti sociali e in relazione al colonialismo francese. Tra i suoi libri segnaliamo La domination policière (La Fabrique, 2021) e L’ennemi interieur (La Decouverte, 2009).

Mathieu Rigouste

In un articolo apparso tempo fa su The Guardian ha scritto che «la moderna polizia francese è modellata sulla violenza della sua storia». Cosa significa?

La polizia moderna ha tre genealogie: le piantagioni di schiavi e il mantenimento dell’ordine coloniale; la caccia alle streghe e il confinamento dei corpi considerati anormali; la gestione delle classi povere concentrate nelle periferie delle grandi città borghesi. È una storia legata alla violenta riproduzione del sistema capitalista, razzista e patriarcale. Nella sua ideologia e nelle sue pratiche la polizia francese ha addomesticato la dottrina della contro-insurrezione nata dalla guerra in Algeria e la ha ridislocata per assicurare il controllo dei territori colonizzati e dei quartieri dove è stata segregata la classe lavoratrice. Inoltre incrementa un regime di ferocia virile contro la crescita dei movimenti femministi e queer.

A cosa si riferisce il concetto di «endocolonialismo» su cui ha lavorato?

Alla colonialità interna che funziona attraverso la storia e le strutture delle società imperialiste. È una forma di segregazione socio-razziale su cui è basato il sistema di sfruttamento e dominazione, come in Brasile per le favelas, negli Stati Uniti per i ghetti, in Sudafrica per il Bantustan (territorio assegnato alle etnie nere durante l’apartheid, ndr) o in Francia per le banlieue.

Che effetti ha avuto l’evoluzione della gestione neoliberista della polizia nelle modalità di mantenimento dell’ordine all’interno delle banlieue?

Lo sviluppo del neoliberismo ha continuamente approfondito la precarizzazione e le disuguaglianze socio-razziali nelle periferie. Nella polizia ha determinato la moltiplicazione di unità specializzate nella massimizzazione degli arresti, equipaggiate con armi tossiche e capaci di mutilare che testano le più aggiornate tecnologie di controllo e repressione. Questo processo è stato accompagnato dalla proliferazione di leggi sulla sicurezza, dal rafforzamento dell’impunità giudiziale per i crimini della polizia e dalla criminalizzazione delle illegalità popolari. Oltre alla generalizzazione dell’anti-terrorismo come forma di governo.

Nel 2017 il governo Hollande ha approvato una legge sul «rifiuto di ottemperare». Cosa prevede e cosa ha prodotto nel tempo?

La legge autorizza e incoraggia gli ufficiali di polizia ad aprire il fuoco nei casi di rifiuto a sottoporsi ai controlli. Questa era una richiesta dei sindacati di polizia, a cui la sinistra ha ceduto. Da allora le esecuzioni sommarie di giovani razzializzati sono aumentate.

Solo quattro anni fa Macron diceva che le parole «violenza di polizia» sono «inaccettabili in uno stato di diritto». Dopo l’omicidio di Nahel ha avuto una reazione molto diversa. Perché?

Chiaramente il presidente francese e il suo team di comunicazione hanno deciso di dissociarsi dall’assassinio di Nahel per provare a disinnescare la rivolta crescente. L’obiettivo è anche presentare l’ufficiale autore del gesto come responsabile a livello individuale, per nascondere la dimensione sistemica degli omicidi di polizia. Macron cerca di rendere invisibile la responsabilità dello Stato e le prove di una necropolitica, una politica di distribuzione della morte, che è il cuore della gestione dei quartieri poveri.

Che ruolo ha giocato il contrasto dei Gilet Gialli nell’aumento delle violenze di polizia?

La repressione di quel movimento ha esteso e normalizzato l’uso di attrezzature, unità e strategie di polizia-militare per attaccare i movimenti sociali fuori dai quartieri della classe lavoratrice.