Più del 41bis potrà la cultura del diritto: è su questa strada che si vince la lotta alla mafia. Il concetto è chiaro e ineccepibile, ma difficile da far passare mentre va in onda a reti unificate la retorica del carcere duro rinvigorita dall’arresto di Matteo Messina Denaro, trasferito nel carcere ad alta sicurezza delle Costarelle, a L’Aquila, dove sono rinchiusi in celle singole 159 dei 749 detenuti sottoposti al regime di 41bis, tra cui i grandi mafiosi e terroristi non pentiti, dalla brigatista Nadia Lioce ai boss Leoluca Bagarella, Raffaele Cutolo, Felice Maniero e Francesco Schiavone.

Il decreto con il quale è stato disposto il carcere duro all’ultimo superboss di Cosa Nostra ricercato da 30 anni, immediatamente firmato dal Guardasigilli Carlo Nordio, è stato accolto dal capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti, come gesto di fermezza del governo nella lotta alla mafia: «Nessun carcere dorato per Matteo Messina denaro – ha twittato ieri – il 41bis è il nemico numero uno di tutti i boss». Gli risponde a stretto giro il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni: «Francamente non capisco l’enfasi dell’on. Foti: il 41bis – dice dai microfoni di Agorà, su Rai3 – mi pare un fatto scontato, e le cose scontate non c’è bisogno di dirle: viene arrestato il latitante più latitante d’Italia, ed è evidente che il Guardasigilli deve firmare la misura del 41bis. Lasciamo stare la propaganda».

La polemichetta s’infuoca immediatamente: «Che Fratoianni non capisca ci può stare ed è normale. Del resto – ribatte il capogruppo di Fd’I – la sinistra ha fatto ostruzionismo contro quell’ergastolo ostativo che tre mesi fa aveva votato». Dimentica, l’on. Foti, che a «fare ostruzionismo» contro l’ergastolo ostativo, per usare le sue parole, è stata soprattutto la Corte costituzionale che con due sentenze – la n. 253 del 2019 e la n. 97 del 2021 – ha chiesto al Parlamento di intervenire su una pena giudicata nella forma attuale incostituzionale.

Fratoianni comunque insiste e torna sui binari del confronto sostanziale: «C’è una componente decisiva nella lotta alla mafia e alla grande criminalità organizzata che deve essere ripresa e rilanciata: è la lotta per la dignità e per i diritti. Il diritto ad avere un lavoro, di poter andare a scuola, di avere un welfare che ti garantisca un’assistenza decente – afferma il parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra – Il diritto nel rapporto con l’organizzazione mafiosa su che cosa si fonda? Sull’idea che il potente, il boss, elargisca concessioni. Il diritto diventa concessione. Lo Stato deve invece poter rappresentare, e non l’ha fatto fino in fondo finora, un’altra cosa: il diritto è ciò che posso avere perché mi spetta e lo rivendico. La garanzia del diritto è la fonte dell’emancipazione delle persone, ed è la strada prioritaria da seguire», senza negare l’utilità degli «strumenti di indagine classica o gli strumenti giudiziari».

Il punto però è un altro: lo strumento del 41bis, «nato per interrompere le comunicazioni con le organizzazioni criminali di appartenenza» «non è solo giusto, ma addirittura doveroso», afferma il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma intervistato dalla web radio del Pd. Ma «quando diventa una modalità carceraria meramente afflittiva, il cosiddetto carcere duro allora non è più accettabile. Il punto di partenza è il rispetto della dignità delle persone e il carcere duro, le privazioni dei diritti, non hanno nulla a che vedere con le finalità iniziali del 41bis. Inoltre – conclude Palma – bisogna pensare che su 700 persone sottoposte a questo regime carcerario, solo 200 hanno l’ergastolo. Immaginare un percorso differente, alla luce del fatto che sicuramente almeno le altre 500 torneranno in libertà è anche una cosa che garantirebbe maggiore sicurezza».