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Cucchi fuori dai talk. C’è un problema nel giornalismo

Quanto accaduto intorno alla vicenda di Stefano Cucchi se da un lato ci fa consapevoli di quanta sia ancora lunga la strada per rendere trasparenti le nostre istituzioni, purtroppo dall’altro […]

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 16 ottobre 2018

Quanto accaduto intorno alla vicenda di Stefano Cucchi se da un lato ci fa consapevoli di quanta sia ancora lunga la strada per rendere trasparenti le nostre istituzioni, purtroppo dall’altro ci permette di misurare lo stato di salute del nostro giornalismo televisivo. La cosa che più colpisce è come la confessione shock del carabiniere, che ammette per la prima volta il pestaggio di Cucchi, sia stata bellamente ignorata dalle scalette dei salotti videopolitici. Eppure la notizia, che il giorno dopo sarebbe stata su tutte le prime pagine dei quotidiani, apre giovedì scorso tutti i telegiornali. Pur essendo di quelle che farebbero saltare qualsiasi ipotesi preordinata, viene invece incredibilmente silenziata nell’agenda dei talk del giovedì. E dei giorni successivi.

Non tutti per la verità. Fanno eccezione «Porta a Porta», onore a Vespa, che pospone la prevista intervista a Monti, dando la parola per tutta la prima parte della puntata dell’11 ottobre ad Ilaria Cucchi e al suo avvocato; e «Propaganda Live», onore a Zoro e Damilano, capace il giorno successivo, pur nei limiti del genere, di fare altrettanto. Esclusi i suddetti, dunque, gli altri programmi, da «Piazza Pulita» a «Viva L’Italia», da «Otto e mezzo» a «Stasera Italia» rimestano nella giornata di giovedì e nei giorni successivi la solita, stucchevole, indigeribile minestra della recita politica. Il silenzio viene interrotto solo il 14 ottobre da «Domenica In», onore a Mara Venier, una trasmissione d’intrattenimento che ospita una commovente intervista alla sorella dell’ucciso. Non altrettanto fa Giletti alla sera, con la sua ex «Arena» più interessato in questo periodo a solleticare il voyerismo catodico degli spettatori, che comunque rimangono al di sotto delle attese.

Si è già detto in altre occasioni quanto l’informazione nazionale sia politicizzata, ma nel senso peggiore: soffocata dai politici e da ciò che ruota intorno a loro, incapace di alzare lo sguardo oltre questo orizzonte. Nemmeno in un caso del genere.

Siamo andati allora a dare un’occhiata alle ultime tabelle Agcom sul pluralismo sociale, in particolare ai tiggì, che però sul caso Cucchi il loro dovere l’hanno fatto. Il guaio è che fuori da emergenze come questa anche i telegiornali, come dicono appunto i dati di settembre, vengono spianati dalla politica con percentuali da non credere: sopra il 90% del tempo di notizia per i tiggì pubblici, idem per quelli de La7, addirittura peggio per quelli Mediaset. Sono numeri indicibili, numeri che raccontano che la politica si mangia tutta la nostra informazione. Che non sa, o non vuole, parlare di altro.

Per i nostri talk il caso Cucchi non era notiziabile. Forse non lo era secondo il classico format del darsi sulla voce, degli applausi a comando. O forse è stato solo lo strabismo dei conduttori, pericolosamente giunto ad un punto di non ritorno. Eppure i talk politici di un tempo, quelli di Costanzo, Santoro, Lerner o dello stesso Funari (che pure di politica ne parlavano, eccome), si mostrarono pronti quando necessario a cambiare al volo le loro scalette, a rimescolare le carte, a dare la precedenza alla realtà.

Il cicaleccio gonfiato e surreale dei talk odierni fa male alla politica, ma fa male anche al Paese. Forse c’è un maledetto problema nel giornalismo e nell’informazione, un problema che nuoce anche alla democrazia. Magari più di altre, e più nobili, ragioni di crisi. Il problema riguarda i giornalisti, soprattutto, ma non solo, quelli televisivi. Bisogna cominciare a dirlo.

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