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Cuba ricorda Fidel per dimenticare la minaccia Trump

Cuba ricorda Fidel per dimenticare la minaccia TrumpCommemorazione di Fidel Castro a Pinar del Rio – LaPresse

Hasta siempre un anno dopo L'isola caraibica tra recessione economica, danni del dopo uragano Irma e il bloqueo sotto la nuova presidenza Usa è sempre più incerta la soluzione del rebus sul dopo Castro

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 25 novembre 2017

«La patria è in pericolo». Due tempeste perfette hanno investito Cuba. Una, l’uragano Irma, ha messo in ginocchio l’economia; l’altra, la tormenta tutta politica scatenata dal presidente Donald Trump, ha riportato la minaccia concreta di un’aggressione del nemico storico: l’imperialismo statunitense. In questo clima da guerra fredda tutta l’isola è impegnata in una settimana di celebrazioni per l’anniversario della scomparsa di Fidel Castro, che coincidono con l’inizio – domenica – di un processo elettorale per rinnovare il vertice del Poder popular, compreso il presidente. Con epicentro all’Avana e a Santiago di Cuba, tutte le provincie dell’isola hanno un calendario di eventi culturali dedicati al lider maximo della Rivoluzione. L’intento è ricreare il clima di un anno fa, quando in tutta Cuba risuova lo slogan Yo soy Fidel.

DI FRONTE AL PERICOLO i leaders rivoluzionari non retrocedono. Ma il problema è anche questo: la peggiore crisi economica degli ultimi anni e le rinnovate minacce degli Stati uniti avvengono quando le riforme socio-economiche iniziate da Raúl Castro sono in mezzo al guado e mentre è in corso il ricambio generazionale della dirigenza storica della Rivoluzione. Il fratello minore di Fidel – 86 anni – ha affermato che intende ritirarsi dalla presidenza dello Stato e del Consiglio dei ministri il prossimo febbraio, alla conclusione delle elezioni generali. Buona parte del governo e dell’Ufficio politico del Partito (unico) comunista sono composti da 80enni.

A DIFFERENZA DEL FRATELLO maggiore – onnipresente in caso di crisi, con il suo carisma, per dimostrare che il timone dell’isola era retto con mani salde – il presidente Raúl ha delegato la gestione del dopo-Irma al vertice (politico) militare, oltre che al vicepresidente Miguel Díaz-Canel. A dimostrazione che il «defino» designato alla presidenza non ha ancora la statura per affrontare le situazioni di pericolo. E vi sono pochi dubbi che Cuba sia in pericolo.

L’ISOLA sta affrontando la peggiore crisi dagli anni ’90 del secolo scorso, quando collassò l’ex Unione sovietica. I danni provocati dall’uragano Irma, secondo l’economista statunitense Carmelo Mesa-Lago, potrebbero causare una contrazione dello 0,3% di un’economia che l’anno scorso aveva già subito una recessione. Peggiori le previsioni di Moody’s Investor Service che pronostica una contrazione dello 0,5% dovuta alla somma dei danni di Irma e delle misure ostili decretate da Trump. Il presidente Usa infatti ha smontato in gran parte la politica di distensione con Cuba voluta dal suo predecessore Obama e soprattutto ha proibito di fare affari con entità cubane legate ai militari (i quali controllano più del 60% dell’economia dell’isola).

Vari analisti come, l’ex ambasciatore cubano Carlos Alzugaray, affermano che l’«effetto Trump» sta influendo nel dibattito politico interno cubano, rafforzando nel governo e nel Partito comunista la frazione che si oppone a un’apertura economica e soprattutto politica. «Da molto tempo Raúl Castro va dicendo che il principale ostacolo alle riforme è costituito dalla vecchia mentalità. Ha anche affermato che si potrà avanzare tanto più lontano e tanto più rapidamente quanto più lo consentirà il consenso (del gruppo dirigente). Questi elementi indicano che in effetti vi è un settore che sta ritardando il processo» di riforme , sostiene Alzugaray.

ALTRI ANALISTI ritengono che il potere dei «conservatori» del governo e del partito è diventato visibile quando qualche mese fa il governo ha sospeso la concessione di licenze per i cuentapropistas, i piccoli imprenditori privati. Una conferma è venuta anche dal fatto che il governo ha bloccato – almeno questa è la tesi dei piccoli gruppi di opposizione – la candidatura di più di un centinaio di indipendenti per le elezioni municipali (del Poder popular) di domenica . L’analista cubano-americano dell’Università del Texas Arturo López Levy è convinto che sia cambiato il dibattito politico all’interno del vertice: «Le discussioni nei mesi precedenti erano sulla natura delle riforme e se (il delfino) Díaz- Canel fosse all’altezza della sfida di misurarsi con un mondo più aperto e una società più plurale. Oggi tutto il dibattito su possibili riforme a Cuba è stato rimandato o del tutto chiuso».

LA SITUAZIONE appare così difficile che negli Usa vi è chi, come Domingo Amuchástegui, ex analista dei servizi cubani che da anni vive a Miami, ipotizza che «non solo Raúl ma tutto il gruppo della generazione storica rimanga (al potere) ancora per qualche tempo». Che, insomma, è tuttaltro che finita l’era dei Castro. Il ritardo di un cambio generazionale viene però considerato poco probabile, se non impossibile, all’Avana. Raúl Castro ha dato chiari segnali che vuole ritirarsi dalla presidenza, ma quasi certamente rimarrà primo segretario del Partito comunista. Dunque avrà un’enorme influenza nel processo istituzionale del «dopo Castro».

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