Cuba in crisi, le Case della Cultura sempre più punto di riferimento
Sotto bloqueo Sull'isola in cui tutto scarseggia, tranne l'offerta culturale dal basso, un progetto promosso da ARCS per sostenere le realtà locali
Sotto bloqueo Sull'isola in cui tutto scarseggia, tranne l'offerta culturale dal basso, un progetto promosso da ARCS per sostenere le realtà locali
Scrivo da calle 5, L’Avana, Cuba. Sono in fila alla tienda della strada per comprare le uova. Sono sull’isola per visitare le Case della Cultura della città sostenute dal progetto La Casa de Todos promosso da ARCS Culture Solidali e finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
Sette giorni intensi, a contatto con il personale delle Case, in prevalenza donne, che instancabilmente animano l’offerta culturale per le comunità dei loro quartieri. Spesso rappresentano l’unico punto di riferimento per le persone del posto: danza, canto, musica, teatro. Si riempiono di persone in cerca di svago, confronto, cultura.
Ricordano senza dubbio i nostri cari circoli ARCI, da sempre in prima linea nella promozione della cultura e della socialità. E non a caso ARCS, la ong dell’ARCI, ha messo in piedi un programma di sostegno e rafforzamento. Il ruolo di queste Case della Cultura diventa poi ancora più importante quando la situazione intorno, nei quartieri, tra la gente, non è certo delle migliori.
La parola che si sente pronunciare di più per le strade è proprio: cola. Coda. Ovunque, proprio come adesso, ci sono persone in fila per acquistare beni di necessità. La distribuzione pubblica attraverso la libreta spesso non basta per arrivare a fine mese: mancano i prodotti. Ci sono code chilometriche di macchine per la benzina, fenomeno che si ripresenta periodicamente quando la catena di approvvigionamento incontra qualche ostacolo. Ore e ore in fila per entrare in una bottega e scoprire, magari, che ciò che ti serve quel giorno non c’è. Prendi comunque quello che trovi e poi in caso lo baratti. Anche l’acqua scarseggia.
Così prolifera il mercato nero, dove puoi trovare un po’ di tutto, a prezzi più che raddoppiati. Il peso, la moneta nazionale, vive di vita propria. Al cambio ufficiale 1 euro vale 25 pesos, ma agli angoli delle strade chiunque è disposto ad acquistarlo a 100 pesos e oltre. Con gli euro si ricaricano le carte di credito (tarjetas) con cui acquistare nei negozi MLC (Moneda Libremente Convertible): una sorta di seconda moneta, digitale, introdotta inizialmente con l’intento di trattenere in patria divise estere da poter reinvestire nel commercio locale. Purtroppo però, a causa della pandemia di Covid, il turismo degli ultimi anni è precipitato e di fatto questi negozi sono diventati un posto dove acquistare prodotti da rivendere al mercato nero.
L’inflazione ha superato i livelli di guardia creando delle contraddizioni assurde. Una cena al Meliá Habana, un albergo a cinque stelle a gestione statale (dove quindi chi ci lavora ha uno stipendio pubblico), ti costa meno della metà di una cena in un ristorante privato. Così che, nonostante l’aumento degli stipendi per i dipendi pubblici varato nell’ultima grande riforma economica, chi lavora per lo Stato non riesce a far fronte all’aumento di prezzi generalizzato.
Chiedo alle persone in fila con me come si sia arrivati a questa situazione e le risposte sono abbastanza univoche: colpa dell’embargo (il bloqueo) e della pandemia. E in effetti è difficile non essere d’accordo: il ridotto numero di Paesi da cui rifornirsi e le navi bloccate ai porti a causa delle restrizioni per il Covid, hanno di fatto lasciato il Paese a secco. Inoltre le strade e le spiagge sono praticamente senza turisti, le case particular spesso vuote e i taxi girano a vuoto.
I cubani e le cubane non sono però persone che si abbattono facilmente: serpeggia il malumore per le ore perse in fila, ma la sensazione per le strade è che comunque ci si riprenderà. Si aspetta con ansia la “fine della pandemia”, o quanto meno la riduzione di controlli e quarantene, per il ritorno del turismo. Ci si augura che finisca presto la guerra in Ucraina e che dalla Russia, uno dei principali paesi di provenienza del turismo, tornino i turisti ad affollare le spiagge dell’isola. Si spera che dopo l’era Trump, si torni a discutere della fine del bloqueo, anche se Biden non è Obama.
Nel frattempo è arrivato il mio turno: entro a vedere se trovo le uova. Altrimenti prendo quello che c’è e nel caso lo baratto.
* responsabile comunicazione ARCS
Errata Corrige
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