L’extra time in video conferenza del sabato non cambia di una virgola l’accordo sulla giustizia già raggiunto, ma non firmato, venerdì in presenza alla camera. Adesso però si può chiamare accordo, malgrado con una capriola finale la Lega che ha accettato l’intesa di maggioranza annunci di voler insistere sugli emendamenti che la contraddicono. Restando in scia a Italia viva, che sulla riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario ha mollato da giorni gli alleati di governo. Non a caso sono i due partiti che più puntano sulla campagna per cinque sì ai referendum sulla giustizia del 12 giugno. «Sui contenuti ci siamo, tutti abbiamo accolto il richiamo del presidente Mattarella sull’urgenza di questa riforma», dice Cartabia. «Sosteniamo la ministra, ma il vero cambiamento passa dai referendum» mette le mani avanti la responsabile giustizia della Lega, Bongiorno.

Come anticipato ieri, il meccanismo elettorale del Csm per contenere la parola «sorteggio», feticcio del centro e centrodestra, farà un salto indietro al 1990 e recupererà l’estrazione a sorte dei collegi. Mediante l’accoppiamento stile Champions league di distretti di corte d’appello di prima fascia (più grandi) e di seconda e terza fascia (con meno magistrati). La legge elettorale sarà maggioritaria con l’elezione dei primi due di ogni collegio ma con un recupero proporzionale di sei seggi su venti. È l’unica differenza importante rispetto alla legge utilizzata per tutti gli anni Novanta che allora era integralmente maggioritaria. Oggi paradossalmente, con le stesse argomentazioni per cui nel 2002 Berlusconi la cambio, cioè «combattere il correntismo», si decide di recuperarla.

Netta la bocciatura dell’Anm, l’associazione magistrati che terrà un plenum d’emergenza martedì prossimo. «Il disegno complessivo è quello di trasformare i magistrati in burocrati – dice il segretario Salvatore Casciaro -, più che una riforma mi sembra una regressione culturale». La Lega replica «basta condizionamenti dei magistrati di sinistra», trascurando che Casciaro è esponente delle toghe di centrodestra.
L’accordo di maggioranza conferma una sostanziale e definitiva separazione delle funzioni di giudice e pm. Con le nuove regole un giudice o un pm avrà circa dodici anni di tempo dopo il concorso (dieci da quando entra nelle funzioni) per un unico cambio. Non avrà limite di tempo, ma sempre una sola occasione, per passare dal penale al civile. L’eventuale vittoria del sì il 12 giugno spingerebbe a vietare anche un solo passaggio, cosa che il governo potrebbe introdurre nella riforma, visto che la parte sulla separazione delle funzioni è nella delega e non nelle norme di immediata applicazione.

Confermata anche la nuova, complicata, regolamentazione del ritorno delle toghe alle funzioni giurisdizionali, dopo un mandato politico. Ritorno vietato per sempre per le toghe elette (in parlamento, al parlamento europeo, nei consigli regionali) e per quelle che assumono incarichi di governo o nelle giunte (per più di un anno). Ritorno congelato per un anno dal termine del mandato e poi limitato (niente funzioni direttive o monocratiche) per tre anni per i magistrati che assumono incarichi apicali nei gabinetti ministeriali.
Domani ripartono le votazioni in commissione alla camera. L’obiettivo resta quello di portare il testo in aula dopo pasqua (in teoria il 19) per mandarlo al senato ai primi di maggio, dove il governo lo blinderà con la fiducia. Ma mentre Forza Italia esulta per gli «obiettivi storici» raggiunti, Iv parla di «due passi avanti e tre indietro». «Un grande nodo politico resta aperto – avverte Anna Rossomando, responsabile giustizia Pd – c’è ambiguità su come voteranno Lega e Iv e questo non è accettabile».