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Giustizia, accordo fatto e poi rinviato

Giustizia, accordo fatto e poi rinviatoLa ministra della giustizia Marta Cartabia – LaPresse

Maggioranza All'ennesima giornata di trattativa, sciolti praticamente tutti i nodi della riforma, anche sulla legge elettorale del Csm che torna al 1990. Restano aperti i dettagli ma Salvini sceglie di rimandare il via libera in attesa di incontrare Draghi. Forza Italia lo segue, Renzi si tiene le mani libere

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 9 aprile 2022

L’accordo ci sarebbe, salvo che nei dettagli. Ma una tregua firmata sul campo di uno degli scontri più accesi, la giustizia, alla vigilia di una altro braccio di ferro, quello sul fisco in programma all’inizio della prossima settimana, condizionerebbe la trattativa e ridurrebbe il potere contrattuale. Per questo alla fine dell’ennesima giornata di incontri – tenuti e saltati – l’accordo sulla giustizia ufficialmente ancora non c’è. La Lega si è riservata il sì definitivo e Forza Italia le è andata dietro. La maggioranza con la ministra Cartabia ci riproverà questa mattina, ma non è detto che Salvini intenda togliere la giustizia dal tavolo prima di martedì. Prima di vedere Draghi.

La difficoltà di parlare con il capo leghista e con la sua avvocata e consigliera Giulia Bongiorno, è stato l’argomento con i quali i leghisti hanno mandato a vuoto l’appuntamento di ieri pomeriggio. In effetti i due sono stati tutto il giorno nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo per il processo Open Arms. La risposta leghista, e di conseguenza di Forza Italia, è rimasta così sapientemente sospesa, mentre all’ora di pranzo si era chiuso l’incontro di giornata con i rappresentanti della maggioranza al solito riuniti con la ministra alla camera.

A quell’ora, però, praticamente tutti i nodi erano già stati sciolti, salvo appunto questioni di dettaglio. D’altra parte la maratona di trattative attorno alla riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario non avrebbe dovuto andare avanti oltre questa settimana, visto che la prossima è l’ultima per consentire l’esame del testo in commissione e lanciare il provvedimento verso l’aula dopo pasqua, come da calendario. Obiettivo, dice però il presidente della commissione Perantoni (5S) a questo punto «irrealistico»..

La soluzione più attesa era quella sul sistema elettorale per la componente togata del Csm, dove Lega, Forza Italia e Italia viva dichiaravano all’inizio di non volersi muovere dal sorteggio. Inaccettabile per la ministra, anzi di più: incostituzionale. E così per mantenere la parola «sorteggio» alla fine si è tornati ad afferrare la stampella lanciata da un emendamento leghista, farina del sacco dell’avvocata Bongiorno o più esattamente salto all’indietro di trent’anni. Si sorteggeranno, cioè, le circoscrizioni (i distretti di corte d’appello) così da comporre i collegi in maniera casuale. Gli accoppiamenti naturalmente prevederanno sempre un distretto grande – Roma, Napoli, Milano, Palermo – con una pluralità di distretti piccoli e i candidati favoriti, naturalmente, saranno quelli dei distretti grandi. Accoppiati con distretti di altre regioni così da rendere impossibile, e prima ancora inutile, la campagna elettorale delle toghe. Il paradosso è che questo schema è lo stesso con il quale è stato eletto il Csm durante tutti gli anni Novanta del secolo scorso, modificato poi dal governo Berlusconi proprio per «battere il correntismo». Obiettivo naufragato, tanto che adesso si pensa di tornare indietro. Allora si votava con il proporzionale, questa volta i 20 consiglieri togati saranno eletti con il maggioritario ma conservando comunque (come da proposta Cartabia difesa del Pd) una quota di recupero proporzionale.

L’altro nodo praticamente già sciolto, seppure non ufficialmente, è quello della separazione delle funzioni, che diventerà pressoché definitiva. Non con il divieto totale di passare da pm a giudice (o viceversa) che volevano Forza Italia e Lega, e non con i due soli passaggi che prevedeva la proposta della ministra sostenuta da Pd e 5S. Ma, prevedibilmente, incontrandosi a metà strada: un solo passaggio, da fare però in un tempo limite di 10 anni dall’entrata in funzione (che significa quasi 12 dal concorso). Confermato, infine, l’accordo sul terzo punto delicato, quello del rientro nelle funzioni giurisdizionali dei magistrati impegnati nei gabinetti ministeriali o nelle giunte regionali. Rientro che sarà possibile dopo un anno di stop dalla fine del mandato e senza che per tre anni sia potrà accedere agli incarichi direttivi o monocratici. Salvo, la novità, che il mandato duri meno di un anno.

Quando questo accordo si firmerà davvero, oggi o martedì, si tratterà di difenderlo nei passaggi parlamentari. La maggioranza dovrà ritirare gli emendamenti che non sono stati accolti e adeguarsi ai pareri del governo. Non lo farà però Italia viva, che da giovedì ha deciso di tenersi le mani libere e ieri ha disertato del tutto gli incontri. Voteranno contro senza essere determinanti, ma così alimentando la campagna per cinque sì ai referendum sulla giustizia. Nel frattempo Draghi, se vorrà tentare di cambiare la legge elettorale del Csm in tempo per le elezioni di luglio del Consiglio, dovrà rimangiarsi mezza promessa e mettere la fiducia sulla legge. Almeno al senato.

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