Al cospetto del presidente egiziano Abd al-Fattah Al-Sisi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani non ha preso l’iniziativa per riproporre il problema della mancata cooperazione da parte della magistratura cairota sul caso di Giulio Regeni. Lo ha rivelato egli stesso alla vigilia del settimo anniversario della scomparsa del giovane ricercatore friuliano, rapito il 25 gennaio 2016 nei pressi della sua casa al Cairo mentre si recava alla quinta commemorazione delle proteste di piazza Tahrir, e ritrovato cadavere orrendamente torturato e mutilato il successivo 3 febbraio sulla strada per Alessandria.

Inaspettatamente però questa volta a “interloquire”, sia pure indirettamente, con il titolare azzurro della Farnesina è il ministro della Difesa Guido Crosetto, il più vicino alla premier Giorgia Meloni: «Lo Stato deve chiedere tutta la verità e pretendere giustizia per Giulio, e contemporaneamente deve tenere rapporti con altri Paesi. Le due cose sono conciliabilissime – ha detto – la fermezza sulla vicenda Regeni e il fatto che lo Stato debba dialogare con altri che sono fondamentali anche per il futuro di tutti noi per il Mediterraneo e per il fronte Sud del Paese».

«Il presidente al-Sisi ha sollevato lui il problema Regeni – spiega Tajani, quasi che questo fatto dia maggior credito al generale golpista -. Ha detto che l’Egitto farà di tutto per eliminare gli ostacoli che ci sono e che rendono difficile il dialogo con l’Italia. Io ho ascoltato e vedremo se alle parole seguiranno i fatti». La sua è una mezza rettifica alle parole frettolosamente pronunciate appena rientrato dal suo viaggio nel Paese arabo conclusosi domenica sera, quando aveva riferito di «aver visto una disponibilità nuova» per dare verità e giustizia ai familiari di Giulio Regeni e pure per «risolvere positivamente» il caso di Patrick Zaki.

Parole sentite troppe volte, pronunciate da ministri e presidenti del Consiglio di ritorno dal Paese, troppo importante per gli equilibri geostrategici ed economici mediterranei, che ormai suonano vuote e difficilmente credibili. Al punto da far sbottare gli stessi genitori, Claudio Regeni e Paola Deffendi: «Noi non abbiamo aspettative, noi pretendiamo – hanno affermato in un’intervista a Repubblica – verità e giustizia, come azioni concrete. Basta, per favore, basta finte promesse. Pensiamo sia oltraggioso questo mantra sulla “collaborazione egiziana” che invece è totalmente inesistente».

Tajani, che oggi alla Camera risponderà alle domande poste sul tema durante il question time, insiste: «Sulla Libia, l’Egitto ha una certa influenza, così come l’ha la Turchia», ed «è determinante nella lotta contro il terrorismo». Dunque, «continuiamo a lavorare per raggiungere la verità, perché i colpevoli dell’omicidio vengano condannati. Continueremo a insistere con l’Egitto perché si possa fare piena luce e i colpevoli possano essere perseguiti. Ma dobbiamo parlare con l’Egitto su altri temi perché noi abbiamo il dovere di garantire la stabilità del Nord dell’Africa e della Libia».

Si può fare l’uno e l’altro, esigere verità sul caso di un concittadino italiano e mantenere i rapporti diplomatici aperti, sembra rispondergli Crosetto. Nessuna divisione interna al governo, però: il ministro della Difesa si riallinea subito dicendosi comunque sicuro «che avremo verità sul caso Regeni», perché, afferma, «penso ci sia la volontà da parte dell’Egitto di cooperare al 100% con l’Italia». Mentre Tajani un po’ tentenna, forse per pudore: «Continueremo ad insistere per far luce su ciò che è accaduto, non c’è dubbio. Ma non ci devono essere neanche da parte di altri strumentalizzazioni politiche».