Crollo Dow Jones e Nasdaq. Salgono i costi dell’energia, inflazione +7,5%
Crisi ucraina A Wall Street i produttori di armi ai massimi storici. Ma una nuova guerra fredda, sanzioni alla Russia, strozzature nei rifornimenti dalla Cina e pandemia sempre presente sono una combinazione politicamente micidiale per i democratici
Crisi ucraina A Wall Street i produttori di armi ai massimi storici. Ma una nuova guerra fredda, sanzioni alla Russia, strozzature nei rifornimenti dalla Cina e pandemia sempre presente sono una combinazione politicamente micidiale per i democratici
I presidenti americani hanno una ricetta infallibile per perdere le elezioni: lasciare che la benzina tocchi i 4 dollari al gallone (che in Europa sarebbe poco ma lì scatena il panico sociale). Ieri la media nazionale dei prezzi alla pompa era $ 3,48, piuttosto vicina alla soglia di crisi.
Joe Biden ha parlato al telefono con Vladimir Putin ma forse avrebbe fatto meglio a discutere del prezzo della benzina con i suoi consiglieri perché l’Ucraina potrebbe trasformarsi da crisi diplomatica in guerra guerreggiata, con relativo crack della Borsa americana.
Negli Stati Uniti ci sono solo due cose che davvero distruggono l’inguaribile ottimismo dei risparmiatori e degli investitori: l’aumento dei tassi di interesse e l’incertezza. A quanto pare oggi sono sul tavolo entrambe. L’inflazione su base annua è stata in gennaio del 7,5%, ovvero la più alta da 40 anni e la Federal Reserve ha già annunciato che inizierà ad alzare i tassi di interesse già in marzo: se lo farà davvero l’indice Dow Jones potrebbe perdere il 10% del suo valore in un paio di sedute. Se a questo si aggiunge l’incertezza su cosa succederà in Ucraina – e per riflesso in Europa – la grandinata potrebbe essere peggiore di ogni previsione.
In realtà le cose stanno già andando maluccio per le borse: a Wall Street il Dow Jones ha perso il 5% nell’ultimo mese ma il Nasdaq, l’indice delle aziende tecnologiche, il 9,2%. Il gigante Amazon ha perso il 10% dall’inizio dell’anno. L’atmosfera è di attesa, con tutti i timori per l’economia americana amplificati dalla crisi ucraina.
E di ragioni per preoccuparsi ce ne sono tante: nell’ultimo anno il prezzo del petrolio è aumentato di oltre il 50%, quello del gas naturale del 34% e quello del carbone del 173% (sì, avete letto bene: cento settantatré per cento). Questo significa che le bollette per l’elettricità e il riscaldamento hanno già svuotato le tasche dei lavoratori americani dei piccoli miglioramenti di cui avevano goduto negli ultimi due anni grazie ai sussidi governativi e a un mercato del lavoro favorevole.
Ormai gli economisti sono convinti che l’inflazione non sia affatto transitoria e le banche centrali conoscono solo un mezzo per domarla: aumentare massicciamente i tassi di interesse. Una cura già sperimentata nel 1981, quando il presidente della Fed Paul Volcker alzò il tasso di sconto al 21,5% portando il paese in recessione e la disoccupazione a oltre il 10%.
Oggi la disoccupazione negli Stati Uniti è molto bassa, al 4%, ma una nuova guerra fredda, sanzioni alla Russia, strozzature nei rifornimenti dalla Cina e pandemia sempre presente sono una combinazione politicamente micidiale per i democratici. Le elezioni di metà mandato per il Congresso si terranno in novembre e tutti gli studiosi seri prevedono che i repubblicani riprenderanno la maggioranza sia alla Camera che al Senato.
L’amministrazione Biden sta quindi rischiando grosso e i motivi non sono del tutto chiari: tutti sanno che il problema è l’espansione della Nato a Est, a spese della Russia: è su questo che il Cremlino vuole garanzie. Già nel 1997, il celebre diplomatico e storico George Kennan (l’inventore della politica del containment nel 1948) avvertì che portare la Nato nelle repubbliche ex sovietiche sarebbe stato «l’errore più fatale della politica americana in tutta l’era post guerra fredda».
Come si sa, Georgia e Ucraina sono i punti di crisi, i tasselli di un accerchiamento che nessun leader del Cremlino può tollerare di vedere in mani ostili (tanto per rinfrescare la memoria, è Kiev più di Mosca il nucleo storico attorno al quale si è formata la Russia nei secoli).
Non tutti si lamentano, ovviamente, le azioni dei tre grandi produttori di armi sono ai massimi storici: Lockheed Martin sfiora i 400 dollari (era a 320 pochi mesi fa), General Dynamics ha superato i 210 e Raytheon i 95 dollari. Gli ex generali invadono la programmazione televisiva e la frenesia bellica fa bene agli indici d’ascolto di Cnn e Fox News, che stanno già dimenticando le indagini sul tentato colpo di stato di Donald Trump, il 6 gennaio dell’anno scorso. Insomma, l’Ucraina può anche essere un affare.
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