Cristian Mungiu: «Rimuovendo la violenza che è in noi ne saremo sopraffatti»
Cristian Mungiu
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Cristian Mungiu: «Rimuovendo la violenza che è in noi ne saremo sopraffatti»

Cinema Incontro con il regista rumeno per la presentazione del film «Animali selvatici», dal 6 luglio nelle sale
Pubblicato più di un anno faEdizione del 24 giugno 2023
Una scena da «Animali selvatici»

«Tutti siamo d’accordo, in linea di principio: l’empatia è fondamentale e la democrazia fantastica. Ma la vita non è così, e ne fanno parte anche momenti in cui bisogna combattere per la sopravvivenza. E purtroppo su questa lotta, che abbiamo ereditato dal mondo animale, si fonda ancora molta della nostra educazione» spiega Cristian Mungiu quando lo incontriamo al margine della presentazione alla stampa di Animali selvatici, in concorso a Cannes lo scorso anno e dal 6 luglio nelle sale italiane grazie a Bim.

AMBIENTATO in Transilvania, in un villaggio dove è prevalente la minoranza ungherese, il film riesce, con il linguaggio del cinema e senza ideologismi, a calarci tanto in questioni ataviche alla base dello stare in società, quanto nell’attualità dell’Europa e della crescente intolleranza verso lo straniero particolarmente forte all’Est. «Siamo stati per molto tempo il lato “grigio” dell’Europa, e molti ancora si sentono cittadini di serie b. Non siamo pienamente integrati nel continente e non condividiamo le stesse visioni perché non abbiamo la stessa storia. Credo che bisognerebbe sforzarsi di ridurre la distanza tra ciò che si decide negli uffici a Bruxelles e quello che accade veramente nei territori. L’Europa è un bellissimo concetto utopico, ed è giusto andare in quella direzione, ma dobbiamo renderci conto delle differenze che ci caratterizzano» afferma il regista rumeno, già vincitore della Palma d’oro nel 2007 per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni. E Animali selvatici è proprio un invito a non semplificare, a non zittire le complessità che ci abitano, ma piuttosto a osservarle per sperare di esserne meno in balia. Se il protagonista, Matthias, non riesce in questo distanziamento, un punto di vista diverso è rappresentato dal figlio Rudi, che improvvisamente perde la parola, e dall’amante Csilla. Quest’ultima «è una persona forte che persegue il proprio punto di vista nonostante tutto, per me era molto importante perché il film parla anche di quando si perde la propria opinione per trasformarsi in una pecora che fa parte di un branco, pensando che così non si avranno responsabilità».

Molti all’Est si sentono ancora cittadini di serie b. L’Europa è un bellissimo concetto, ma dobbiamo renderci conto delle nostre differenzeCristian Mungiu
Il riferimento è alla rivolta che scoppia nel piccolo paese quando Csilla, che gestisce una panetteria, assume alcuni lavoratori provenienti dallo Sri Lanka. Un incipit che, come racconta Mungiu durante la conferenza stampa, è tratto da una storia vera avvenuta in un villaggio della Transilvania pochi anni fa. «Ciò che è strano è che da una minoranza, in questo caso quella ungherese, ci si aspetterebbe più empatia verso altre minoranze, considerato poi che spesso siamo noi stessi costretti a spostarci in altri Paesi per lavorare. C’è in gioco una discriminazione profonda per chi ha la pelle scura in relazione ai rom. E, più in generale, più le persone vengono da lontano e meno ci identifichiamo in loro, è triste ma le comunità tendono a comportarsi in maniera tribale. Basti pensare alla recente vicenda del sommergibile se comparata con il naufragio dei migranti in Grecia. O ancora alla bella accoglienza che i rumeni hanno dimostrato nei confronti dei profughi ucraini ma non di quelli siriani».

QUELLO di Mungiu, comunque, è un film ricco e stratificato che non si ferma certo all’attualità. «Ho costruito il villaggio come un luogo della nostra psiche, circondato da una foresta buia. È la parte animale da cui provengono gli impulsi e di cui dobbiamo prendere coscienza perché altrimenti continueremo sempre a pensare che il male provenga da fuori. Ma la maggior parte degli orsi è stata ormai uccisa, non è quello il pericolo che viene dalla “foresta”, dobbiamo guardare dentro di noi e in qualche modo addomesticare il nostro animale». Il regista si sofferma poi sul proprio approccio al cinema: «Ho un modo particolare di girare, che per alcuni versi rimanda al teatro: ci sono tante piccole situazioni in un’unica inquadratura, non uso il montaggio all’interno di una scena, preferisco il piano sequenza. Tutto quindi deve essere molto preciso e provato molte volte perché non ci sono stacchi. Il cinema per me è questa convenzione che prende la realtà come modello, la preferisco all’approccio dei documentari che fingono di rappresentare la realtà come se non fossero orientati da un punto di vista». Il finale di Animali selvatici è sostanzialmente aperto, a questo proposito Mungiu chiosa: «Guardiamo troppi film americani, in cui tutto alla fine deve essere chiaro. Questo è un altro tipo di cinema, più vicino alla realtà: qualcuno può dire di avere tutte le risposte alla fine della vita, o anche alla fine del giorno? Ci sono diversi aspetti che sono contenuti nel film in maniera non verbale perché di questo è fatto il cinema, sta allo spettatore decifrarli».

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