Le forze di sicurezza hanno disperso una nutrita folla di manifestanti con i lacrimogeni, ieri a Beirut. Alcune centinaia di persone si sono riunite a piazza dei Martiri in tarda mattinata per il corteo promosso dai comitati di ex militari e quello dell’Associazione depositari bancari, per poi spostarsi a piazza Riad el-Solh a ridosso del parlamento, dove si teneva l’ennesima inconcludente riunione e dove la tensione è salita. Due i feriti: un poliziotto e un manifestante.

Anche la parlamentare Paula Yaacoubian aveva martedì invitato via social a una mobilitazione generale: «Scendi e ribellati, per il tuo paese, per i tuoi diritti!». Un ex militare in piazza accusa: «Veniamo a chiedere quello che ci spetta di diritto, per legge. Non possiamo curarci e i soldi che vengono dall’estero per l’esercito vengono dirottati».

LA GOCCIA è stata la schizofrenia del cambio lira/dollaro fra le 10 e le 18 di martedì: il tasso al mercato nero della lira libanese è passato da 125mila a 145mila, per poi riscendere e risalire come montagne russe e assestarsi in serata a 110mila.

Le banche sono chiuse da oltre una settimana, formalmente in protesta contro le indagini e i provvedimenti della giudice della corte d’appello Ghada Aoun nell’ambito del processo sulla corruzione del sistema bancario. Martedì il governatore della Banca centrale Salameh aveva alzato il tasso di cambio ufficiale bancario da 83.500 a 90mila per dollaro.

I conti in Libano sono bloccati dal settembre 2019: i risparmiatori, oltre a perdere denaro per la svalutazione – prima della crisi un dollaro valeva 1.500 lire circa – non possono prelevare grandi cifre né trasferire denaro. La banca centrale fissa quindi un tasso a cui prelevare in dollari, ma poi il cambio dollaro/lira è gestito nei fatti dal mercato nero.

Oggi, in un momento in cui lo stato non riesce più a sussidiare niente e a calmierare i prezzi, il mercato è completamente dollarizzato e i prezzi sono quelli pre-crisi. Nei supermercati da marzo i prezzi sono tutti in dollari, eccezion fatta per pochi prodotti. Gli stipendi pubblici sono ancora pagati in lire, molti privati in dollari, ma sono la metà del 2019.

LA SITUAZIONE è insostenibile. E la folla rabbiosa di ieri ha a tratti ricordato la thaura (rivolta) scoppiata il 17 ottobre 2019, prima pacifica e poi violenta, che non era però riuscita a ribaltare la potente casta politica corrotta e nepotista che ha portato il paese nell’abisso.

Il parlamento ancora non ha eletto da fine ottobre un presidente della repubblica e nemmeno un nuovo governo dopo le elezioni del 15 maggio scorso, cose che sbloccherebbero gli aiuti messi a disposizione dal Fondo monetario internazionale e dalla comunità internazionale, a patto di riforme sociali, che paradossalmente dovrebbero essere promosse e attuate dalla stessa classe politica che ha portato il paese al collasso.

Il Libano è un sistema di potere multicentrico che attraverso il parlamento si spartisce fette di mercato. Trovare una quadra su un nome che sia ago della bilancia favorendo ciascuno nel modo che si aspetta non è semplice. A ciò bisogna affiancare le influenze esterne di paesi come Iran, Usa, Arabia saudita, Francia, che qui hanno forti interessi economici e politici.

Nel report per la felicità mondiale del 20 marzo stilato dalle Nazioni unite che tiene in conto di indici come reddito pro-capite, accesso ai servizi, libertà di scelta, corruzione, per il terzo anno di fila il Libano è al penultimo posto, preceduto solo dall’Afghanistan.